Arrivano da Paris, Texas ovviamente, una cover band che al debutto oscilla come boe nel mare aperto della country music, alcolica e ruspante. La
Whiskey Roadshow del vocalist
Ryan Booth e delle plastiche chitarre di Coby Reese e James Seals, saggia sin da
Get To Me la classicità del texas rock schietto e molto affezionato alla steel, sempre credibile nelle tappe nei barroom dove -se necessario- il piano e i violini sono pronti a dare supporto, come nella deliziosa fluidità alcolica di
32 Drinks e nei cambi di marcia di
Tequila And Rain.
I
Whiskey Roadshow sanno anche toccare gli strati profondi della pedal steel dando l’impressione di scivolare con leggerezza sulle superfici della malinconia elettro-acustica della conclusiva
Northern e in quelle dove le atmosfere e i paesaggi assomigliano a periferie anonime, l’intensa accoppiata di
West Way Down e
Can't Hang On, anche se a volte non sanno resistere alla tentazione di sovraccaricare di metafore anche la melodia più leggera –la ballad, comunque dignitosa, di
High And Dry.
Rispettano bene i canoni alcolici da dancehalls e le chitarre sono ben oliate a sentire l’effervescente simmetria di
Mississippi Dreams e
82 West, oltre alla splendida
Lonesome, Onry And Mean. Certo la voce decisa di Ryan Booth aiuta parecchio in queste selvagge scorribande texane (sulla stessa linea i ficcanti violini di un altro roots saltellante,
Burning Road), e senza strappi
Whiskey Roadshow riesce a volare senza vuoti d’aria nella rincorsa tra simboli texani e visioni etiliche.