I punti di entrata e di uscita di
Take It Home nelle tradizioni dell’outlaw country ricordano i tempi western dei film di
Nicholas Ray, nella lentezza delle scene dei saloon la parte più d’autore di
Johnny Guitar, nelle ballads country-honky tonk la maturità del giovane
Jubal Lee Young: “
I made this album. Mostly for myself. It was just the sort of collection of songs I wanted to hear. It's an homage to my “Outlaw” heroes, the biggest among them being my dad. This movement was more than an image back then. It was more than a wardrobe or a marketing campaign. They were pushing back against the Nashville machine, looking for some freedom to express themselves. It was a revolution.”
Take it Home non poteva che partire spavaldo, sulle strade del Sud, tra la polvere e i fantasmi di Waylon Jennings di
Just To Satisfy You e la
Renegade Picker del padre Steve, con l’armonica di Mickey Raphael a duettare tra le chitarre di Thomm Jutz e Mac Gayden dove
Jubal Lee Young trova gli spunti più luminosi, racconti texani pieni di humor in
Have You Met Me? avventure e passioni, turbolenze ruspanti splendide e ancora paterne in
Riding Down The Highway, violini e la tromba di Brent Moyer in
Neon River brillano allo stesso modo delle coinvolgenti ballatone di
Angel With A Broken Heart,
You Make Me,
Good To You e soprattutto nella magnetica steel strappacuori che in
Don't You Dare Love Her le fa aria e luce avvolgendola con le tradizioni del country.
Lì
Take It Home penetra e le rivolta, movimenti tra piano e chitarre assecondano la melodia di una abbagliante jam nel cuore di
Stark Raving Mad, nella splendida
You Only Call Me When You're Drunk e in
Why Does It Always Rain?, lasciando in chiusura quelle “
lonesome road, some of ‘em might even be true. But ‘there ain’t no outlaws anymore…’”, meraviglioso roots dove il respiro del West e la leggenda, va di pari passo con la storia, l'avventura e le immagini che giustificano ciò che immagine non è più.