
Hanno impiegato del tempo per trovare l’esatta sintonia, ma come dice il vocalist Ethan Burns “
Everything came together and the name morphed into the idea of how we should sound.” Il sestetto californiano dei
The Ragged Jubilee spinge nella direzione del classic rock anni ’70, lo prende come viene, sporco, artigianale, dal basso e lo rigirano nell’american roots di banjo e armonica. Ogni brano trapassa quello che lo segue, l’ugola di fuoco di Burns e la copertina di
American Moan qualche riflessione la fanno venire a galla, ai nostri tempi, nei quali televisione e internet sono i maestri cattivi, un tuffo nel passato può sempre suggerire qualche altra visione (musicalmente educativa).
Ethan Burns spinge sulla voce fin dalla muscolare
Blood on the Highway, una tensione elettro-acustica insistita sottolinea e dimostra che i
The Ragged Jubilee son capaci di togliere aria ad
American Moan e all’ascoltatore, dalla splendida
High Horse si compone un mosaico roots baciato dal rock e questa impalcatura regge per tutte le 11 tracce senza finire di disinnescare la portata emotiva di
American Moan.
Bucolica dolcezza per intense ballads
Miss Me While I'm Gone e
Shelter in the Mainline, Burns rimargina i confine della malinconia e lavora all’interno di un’immaginario e di un linguaggio che si solidifica nell’ariosa armonica che le avvolge, felicemente accurato nell’uso della steel e del banjo, così lineare e scorrevole nei sussulti improvvisi di
Just a Little Blood o nei saltelli di Philip Wahl al banjo nelle brillanti
Another Woman e
Treason.
Arrivano fino al Texas, di un West senza eroi, c’è solo whiskey in
Going Down to Texas e ‘
Country Girl’, nervosa e chitarristica, trascinati lontano sulla scia del sogno americano avvolto nella plastica, un bell’imballaggio con l’etichetta appiccicata sopra,
Mississippi Water, tigliosa e onirica con in più qualche inflessione bluesy nella conclusiva e indiavolata
Rhythm.
American Moan, blandito o strapazzato a seconda dei momenti dai
The Ragged Jubilee.