TIN HEARTS (No Good Deed)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  28/07/2011
    

Tramontati i grandi racconti sociali e politici, impallidito il Partito della Chiesa, specialmente in Italia dove il ‘campanile’ è stato sostituito con la televisione, ci si aggrappa ai ricordi e al rock, quello classico, di chitarre elettriche legate alle jam e a magiche tastiere. I The Tin Hearts, quintetto dell’Ohio nato per suonare musica dal vivo, riescono a catturare al secondo disco le atmosfere di un passato non molto lontano che si fa subito presente in Angela Sutton e aprono suggestive strade in Best of Intentions, alla voce di Matther Sullivan, alle chitarre di Andy Frederick e il batterista Mark Sims (molto bravo, tanto da realizzare un disco solista, Clouds of Dust and Fire).
"I feel extremely lucky to have musicians that really buy into what we're doing," dice Sullivan. "That is so valuable because [usually] everyone wants to be a rock star and no one wants to practice", c’è aria da barroom, polverosa e impastata di whiskey nell’incantevole Been a good Year, Sorrow Regret e Times Like These, ma lo spazio è pronto a dilatarsi in Steel Colored City, All Alone e nel magnetico splendore di Girl with the Calico Eyes, No Good Deed se ne frega di facili appigli e dei piatti orizzonti melodici dei nostri tempi.
I The Tin Hearts sembrano muoversi verticalmente, sopra e sotto, ondeggiando in su e in giù, nel rock anni ’60 e le chitarre come in Everything Fades Away, impetuose in Desert King, vitali nella splendida Turnpike, lo dilatano fino a trasfigurarlo con i continui passaggi onirici delle tastiere, strumentale compresa, Century Hop. Insomma No Good Deed riesce a ridarci un’idea di come si stesse allora, tempo perduto e lontano, di come la musica in quel ‘crepuscolo’ nascesse dal piacere, dal lasciare tutto fuori perché si potesse vivere dentro.