DAVID ZOLLO (The Big Night)
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  Recensione del  26/02/2004
    

Rappresentante di primo piano della vivace scena dell'Iowa, David Zollo è una piccola leggenda del luogo, fin dai tempi della sua militanza negli High & Lonesome, antesignani del subbuglio rootsrock di questi anni. Si è costruito un apprezzamento continuo, anche da parte della critica, attraverso un costante lavoro di maturazione solista, diventando uno degli artisti di punta della locale etichetta, la Trailer records, che lui stesso ha tra l'altro contribuito a fondare.
L'assidua frequentazione di gente del calibro di Greg Brown e l'apporto di musicisti poco appariscenti ma validissimi come Bo Ramsey (qui presente in un paio di brani con il suo inconfondibile tocco) o Eric Straumanis ha spinto il suo songwriting, lui che è nato essenzialmente come pianista, verso un rock'n'roll periferico e dall'aria bluesy, che riesce a coprire la mancanza di originalità con uno scorazzare continuo delle chitarre elettriche. Accomunabile in tutto ciò a personaggi quali Kevin Gordon, Arthur Dodge, o al primo Todd Snider, esponenti di un rock delle radici dal suono ruspante e sudato, defilato quanto vitale, Zollo aveva già lasciato tracce notevoli dietro di sé con il precedente Uneasy Street ed il nuovo The Big Night non fa che ribadire il percorso intrapreso: rocker dal riff facile, ricama costantemente con piano ed organo sullo sfondo, dando corposità e sensualità alle sue canzoni, ma lascia soprattutto a briglia sciolta le chitarre del citato Straumanis e di Chris Winters, in un ruvido rock'n'roll di stretta osservanza Rolling Stones.
Si entra in questo clima torrido fin dall'inizio, con il trittico costituito da While You Undress, Eye Of The Needle e dalla rocciosa Why Don't You Stop Me Now. Anche la voce è molto maturata, limpida e ricca di trasporto, non graffia come richiederebbe il genere, ma assicura un'interpretazione quasi sempre convincente. Gli unici momenti di insicurezza arrivano purtroppo dalle ballate, spesso raccogliticce ed insipide, come la stessa titletrack o la country oriented Take Me Away. Meglio riprovare ad arrostire le valvole degli amplificatori in Get Away o nell'ingenuo e trascinate boogie di You're Gonna Get What You Wanted, esempi lungimiranti di un rock stradaiolo che viaggia sulle strade secondarie del Midwest americano, incorruttibile alle mode del momento e spontaneo come pochi.