DAN MONTGOMERY (You'll Never Be A Bird)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  01/06/2011
    

Da un po’ di anni conosce solo Memphis, per un cantastorie come lui forse era l’unico modo per continuare a spiegare con la necessaria obiettività, la lenta trasformazione (decomposizione) del mondo che ci circonda, con uno sguardo che cerca il lato ridicolo-assurdo-angoscioso della realtà. L’ultimo ricordo era con la prostituta Rosetta della storia d’amore del 2006, Dan Montgomery al terzo disco confeziona altre 12 storie -talvolta personali- di vita vera, così sincere da rifiutare gli ‘happy ending’, e d'altronde si parla di gente che lavora, famiglia, amici -senza tralasciare quei looser che lo seguono dal debutto di Man From Out of State, "Because to me the whole point of what I'm interested in the stories in these songs, is just what people do in a moment. Not why or the fallout if something bad. Do you go left or do you go right or do you just fall down and go nowhere at all?"
In You’ll Never Be a Bird muove i fili di brani in continua metamorfosi come sansisce l’apertura di Working On A Building, ma è ancora una volta un disco che mischia superbamente folk, country e americana con la sorpresa di virate nel rock con la muscolare Wheels of Soul, ricordi di un passato mai dimenticato prima di trovare nuova vita nella roots music.
La steel di Louis Jay Meyers e il mandolino ci accompagnano nelle storie di You’ll Never Be a Bird, tutte dotate di vita propria, di un dinamismo interno dilagante nella contagiosa ballata di I.O.U.S.A, nelle splendide I'm Lost e Tomorrow This Time, i cambi di ritmo per Dan Montgomery hanno quasi l’effetto della torcia dell’umorismo pirandelliano che se immersa in una pozza ghiacciata frigge fino a smorzare qualsiasi sorriso.
Il cantastorie sente di dover scegliere da che parte stare, rifuggendo tuttavia piene identificazioni al folk più introspettivo, tra le intense ballate elettro-acustiche di Waltz For Charlie, Girl with a Broken Bell (una ragazza non certo umana) e Dollhouse ci tiene a rivendicare la sua dimensione indipendente, libera come nelle perle We Went To the World's Fair (1964) e la scura e intensa The Winter When We Didn't Speak a mostrare che quello di Montgomery è un songwriting anche duro, non scontato, ma originale e completamente coerente e onesto nella sua evoluzione narrativa e strumentale, da meritarsi la stessa attenzione fino alla conclusione con l’elettrica Goin Home e la meravigliosa ballatona di You’ll Never Be a Bird.
Come un uccello, da una ‘gabbia’ all’altra, nel lento peregrinare disperato all’interno di un’unica grande prigione esistenziale.