La band di Los Angeles ha sempre il rock ‘n’ roll nel sangue, quello viscerale e classico, ma stavolta si sconfina con facilità, lunghi istanti in cui i
Night Horse si sentono padroni della scena, poco responsabili, del tutto irrefrenabili, come un colpo di testa, uno solo:
Perdition Hymns, registrato in cinque giorni, tutto d’un fiato. “
Night Horse is a band heavily, heavily influenced by rock 'n' roll. We love all eras of rock 'n' roll and have never taken a 'retro' approach," dice il vocalist Sam James Velde, e basta per iniziare a comprendere quel fuoco che solca e divampa sin da
Confess to Me e la splendida
Angel Eyes.
Conoscono ciò che lo alimenta, quel rock anni ’70 di matrice Southern, ma non basta solo ripetere schemi e melodie, per i
Night Horse riesce facile reinventarlo più che riscriverlo anche grazie all’apporto del chitarrista Justin Maranga, mattatore nella sfrenate
Rollin' On e
Goodbye Jane. L’hammond e la slide di una ‘luminosa’
Black Clouds si conficcano nel cuore del rock classico e si fanno spazio nel fondo delle incongruenze della contemporaneità, in
Come Down Halo trovano un’altra energizzante apertura di prospettiva nel rock, le difficoltà della vita si possono prendere a mazzate o a suon di corposi riff, scegliete voi.
Con
Blizzard of Oblivion siamo in balia di un suono sovraccarico e ridondante, ma solo a tratti, certo nel finale
Perdiction Hymns appare piuttosto pompato ma non perde mai l’immediatezza, eccessivo sì, ma non finisce per avere effetti fastidiosamente plasticosi, come nelle arcigne
Hard to Bear,
Shake Your Blues e
Choose Your Side. Con la dolcezza di
Same Old Blues possiamo congedare
Perdition Hymns, e levare i tappi dalle orecchie!