Il quarto album di studio dei fratelli Garza è tutto nel titolo,
Rockpango. Come ad un party, ad una festa, non c’è solo spazio per l’amato texican rock, ma è un continuo aprirsi di solchi nel blues, di scie nel rock classico, di segni immancabili dalla parte del latino e ispanico soul.
Rockpango è fatto di questo, della materia che agita la mente quando questa pensa al piacere di vortici chitarristici trasportati sull’onda di accattivanti melodie, tanto che non si ha il tempo di mettere a fuoco in profondità le emozioni -e qualche volte è un bene, a sentire
Baby Girl o la dedica di
Porn Star (sviluppata intorno ad un film hard). È un piccolo lusso che si paga, non è che ci sia poi quell’urgenza di scavare sempre nel profondo (ben 14 brani), ma resta quel gusto di un fluttuare continuo tra stili diversi, dallo splendido avvio con un secco latin rock che batte a frustate l’intero
Rockpango.
I
Los Lonely Boys si dimostrano abili nell’individuare alcuni temi accordali semplici, rielaborati con le loro voci in un serie di variazioni che donano profondità alle canzoni, dolce l’acustica coralità di
Fly Away che arriva a caricarsi di promesse in
Change The World e di attese nel puro piacere della splendida ballad di
Road to Nowhere, con Henry Garza sempre pronto a scollinare con la sua chitarra. E quel ‘corpo’ sembra mutare pur restando uguale, si accende e si spegne a intermittenza e, soprattutto, regala intensi scatti improvvisi nel mexican rock di
Love In My Veins ("
I need your love...I need you in my veins"), nella spassosa
16 Monkeys (“
Sixteen monkeys on a chuck wagon rolling down the road” con la presenza di 'Batman' con cui giocare di sponda) al coriaceo blues della title-track che i fans riconosceranno per essere stata presentata negli show live della passata annata.
Trovano il coraggio dei sentimenti, ma si incrocia in
Rockpango sotto diversi aspetti, dopo il ‘manierismo’ della malinconia, mai così luminoso in
Smile, si passa alle cadenze ispaniche perfette per la sexy song di una dannata
Baby Girl, ad un esibizionismo sessuale che serve a prendere affetto e attenzione specialmente nei ricordi erotici di
Porn Star, dove a fare da sottofondo c’è il rapper Kush, li segue sul filo di un fragile equilibrio melodico ma senza che si spezzi definitivamente. Band eclettica, quindi il finale se lo giocano tutto in velocità, in un'incessante, inebriante moto perpetuo tra le rocciose
Believe e il blues di
Judgment Day.
Se avete poi tra le mani la versione
deluxe, oltre a 4 video (
Free Spirit,
Coke In Chicago,
Boxing e
Warm Up) e un poster, ci sono altri due brani, la seconda versione di
Smile, con archi e piano, e i ben 23 minuti di
Outtakes, dove tra risate e improvvisazioni passa davvero di tutto: attaccano con i versi della
Bamba e di
Power of Love di Huey Lewis, c’è un richiamo a
Ghostbusters ma anche tanto di Rockpango. I
Los Lonely Boys sembrano mettere il tempo tra parentesi negandone le regole, tanto per renderlo ancora pulsante, dinamico, percorso da fremiti convulsi che non si vuole che finisca. Proprio come ad una festa.
Rockpango, per l’appunto.