Scotty Thurman è cresciuto a storie di countryman e fuorilegge ma c’è voluto l’esercito per prendere sul serio la musica. Per farsi un’idea su come gira il mondo reale forse è bastata la cronaca non eccezionale di quei giorni, ripensati su di uno sfondo texano quei luoghi restano solo processioni solenni e rispettose, lontane dalla serenità e la soddisfazione in vita che si respira in parte dalle liriche del suo esordio,
What We Have Become.
Perché c’è spazio anche per riflettere,
Scotty Thurman è figlio legittimo di un texas country legato alla melodia del violino, ma col rock pronto a dilatarne ballate sentimentali solcate da candidi corpi femminili, sinuosi e levigati (nei miei ricordi appaiono sempre così, un po’ come le donne dei dipinti di Ingres). Dall’iniziale malinconia di
Directions ai sussulti di
Hero, le lacrime di
Cowboys Aint Supposed To Cry alla pungente title-track, la telecaster di Shawn Scheller comanda la
The Trouble Band anche nei tratti più ruspanti e goliardici,
Fishin Song, spinti dal desiderio a giocare tipico dei texani ma sempre saldamente legato ai codici e la struttura del roots elettrico costruito su robusti giri di chitarra -come nei cambi di ritmo della brillante
Echo Down the Hall- e passi per le solite prese dirette sull’amore, anche in
Where Do The Butterflies Go.
Ma le perle alcoliche festose come
Drinkin Song, tutta boots, fumo, margarita e condite da un bel duetto violino-telecaster, così ponderate in
That Kind of Night o più dolci come in
Barstools and Memories, solleticano di continuo ricordi che affondano o in bottiglie di birra o nel whiskey e trovando nell’addolorata accoppiata violino e chitarra lo stato più puro di fascinazione e vertigine legato alla
Scotty Thurman and the Trouble Band.