DUB MILLER (Post Country)
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  Recensione del  26/02/2004
    

Dub Miller è un giovane cantautore e cantante texano che ha debuttato nell'arena musicale alla fine del '99. Marco Verdi lo ha recensito nella rubrica Roots & Branches considerando la sua proposta, l'affascinante American Troubadour, quale una delle migliori prove di musica cosiddetta "americana" dell'anno: interessante disco consigliato.
In esso Dub mostrava infatti una maturità, una consapevolezza, una sicurezza più prossima a quella di un musicista già navigato che non a chi aveva appena realizzato la sua prima esperienza discografica. Bella voce, canzoni di prima qualità, country rock di nuova fattura di chiaro segno antinashvilliano. Non ci ha messo molto Dub per registrare il seguito, pubblicato dalla stessa etichetta, la Pontotoc Records, ancora prodotto dall'onnipresente Lloyd Maines e realizzato con il contributo della sua Highway 6 Band, vale a dire Brady Black al violino, Dan Garten al basso, Josh Hamilton alla chitarra solista, Les Lawless alla batteria.
Una conferma, una convalida, una riprova. Post Country è pura Texas hill music, è una raccolta carica di calore, di vitalità, di passione, è un vivo messaggio musicale che s'inserisce nel filone aperto dai più convincenti cantautori texani che si chiamano Robert Earl Keen, Steve Earle, Guy Clark, dove potrebbe riuscire a trovare posto presto anche Dub che, non per niente, secondo Pat Green "è uno dei pochi personaggi in circolazione che sa portare il pubblico verso il suo mondo".
Il disco contiene undici pezzi, tutti firmati da Miller meno tre. Insanity & Texas è una tipica electric country rock ballaci dal convincente ritornello, nella quale si muove bene il violino. Cowboys & Sailors è un brano solido e robusto, dall'arrangiamento che mette insieme il twanging country targato Bakersfield con il southern rock alla Steve Earle. The Train Song è un velocissimo bluegrass rock dai begli spunti di chitarra elettrica prima e di fiddle poi. The Little Cowboy's Prayer è una leggera e gentile country ballad ispirata e adattata da una preghiera infantile il cui autore è sempre rimasto sconosciuto a Dub. Honky Tonk And Dancehalls, tributo ai bar dislocati lungo le strade extraurbane che non ci sono più, è una honky tonk song dai refrain alla Gram Parsons.
Hard Headed Woman è un rock blues alla Waylon Jennings sostenuto da chitarra elettrica e violino. 21st Century Cowboy, che ha per protagonista un anziano rancher che cerca di convivere con i cambiamenti in essere nella realtà quotidiana, è una delicata canzone aperta dal mandolino cui è affidato anche l'assolo principale, I'd Do Anything, ritmato e scorrevole, con la voce di Dub che si è fatta più maschile e baritonale, è il pezzo con le maggiori potenzialità di successo, grazie al suo sound brillante e vivo che mette in bella mostra dall'inizio alla fine.
I pezzi interpretati sono That's When I'm Coming Home, di Rodney Peyatt, un testo dal vago sapore swing che risulta però forse il meno appariscente della raccolta, Reaching For The Stars, un classico country rock di Kent Finlay, cui il violino conferisce un'aria cajun in apertura e Honky Tonk Church, un'altra gustosa honky tonk song di Darrell Staedtler dal simpatico refrain, che sul finale va ingrossandosi col supporto di una corale ecclesiastica che continua a cantare anche quando si è spenta la musica.