SILOS (Florizona)
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  Recensione del  01/05/2011
    

Walter Salas-Humara ha voluto sfidare il tempo, ha provato con la sua band a restare in piedi, sul palcoscenico, senza gettare la spugna, non abbandonando il campo di battaglia, e nemmeno il rock, ed è arrivato nel 2011 (data di nascita dei The Silos, 1985) ad incidere il decimo disco, Florizona accompagnato da entusiastiche parole: "This is the best Silos album to date! We really blew this one out! Having taken two years in the making, this album is lovingly crafted with a high dose of sonic inspiration. We are excited to play the new songs live and see the audience’s reaction."
Le canzoni di Florizona portano a derive assolutamente inattese, contagiose e ipnotiche nel momento stesso in cui prendono forma, dall’iniziale Coming from the Grave e la rock ballad di On Your Way Home, alla chiusura di The Ring of Trees, a rappresentare un segnale importante, e contemporaneamente, innovativo per i The Silos.
Le liriche di Florizona possiedono qualità che hanno molti poeti minimalisti, quel saper ridurre una storia al minimo essenziale –le riviste americane tendono ad accostarle al poeta Raymond Carver-, ma attraverso 10 canzoni -anche autobiografiche- i The Silos mantengono uno sguardo lucido su di un’America e i suoi dubbi in Election Day, sentimentali in White Vinyl e Hold You in Arms o quando pensano alla California, ma sospesi tra due mondi contrastanti e opposti abitati da nuovi poveri in Getting Trashed, rispetto ai quali si muovono tangenzialmente nella malinconica Gravity, al vigore di Teenage Prayer così solare, tra rock e americana, su cui spira una brezza texana nella brillante Never Lost The Sunshine.
A Florizona, all’entrata, è facile trovare appese le scarpe ad una fune. L'immagine più potente e poetica del mito americano del vagabondaggio e della ricerca, che ben rappresenta i The Silos, inesausti e ancora non placati da promesse di serenità commerciale.