Il terzo disco rappresenta una sorta di limite invalicabile per molte bands, sia musicalmente che dal punto di vista delle idee, il super gruppo di Richmond (si aggiunge la pedal steel di Steven McCarthy e l’organo e il piano di Bruce Courson) ha ancora il rock classico nelle vene, si sono leggemente appesantiti nel corso del tempo, hanno però elaborato nuovi stili –country-roots e del gospel da Memphis- e la vista sull’originalità non sembra si sia tanto annebbiata, solo leggermente.
“This is the first record we’ve done where the sound you hear is the sound I had in my head”, racconta Jon C. Brown leader degli Horsehead, dall’inizio di All Or Nothing e Blood From A Stone si poteva aspettare qualcosa di meno prevedibile e meccanico, ma sanno ancora scrivere vere e proprie ‘rock songs’, gli Horsehead fanno del loro meglio e Before The Bright Light alla fine non delude: Night of Town, Sorry Dreams, Model Of The Times hanno una buona dose di frenesia e sovraeccitazione chitarristica, il piano poi -in quest’ultima- inghiotte gli spazi silenziosi e la band mostra nerbo e muscoli.
Entrano in circolo contaminazioni roots, la steel ammalia nella corale dolcezza della splendida Marlene dove i diversi stili crescono e si ritrovano in ognuno delle loro parti, connotando una sorta di opera frattale che comprende la brillante Weight On The Line (ancora Jon: “I feel I’ve met my stride and can we capable of making the music closest to our hearts. We just wanted to make an honest, rock and roll record and I feel that’s what we’ve done”).
Qualche parentesi nella parte finale con Daddy's Home e Lie Lie Lie, dove gli Horsehead sembra non sappiano dove andare a parare, ma c’è ancora qualche sprazzo di sincero rock con Sincerely Surrender e una godibilissima Think Of Me (con tanto di fiati in appoggio). Capisco che l’ascoltatore da parte sua, possa semplimente ascoltare, incamerare e passare al disco successivo, ma almeno con gli Horsehead non sprecate tempo prezioso.