800 MILE MONDAY (In The Fertile Gardens of Freedom)
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  Recensione del  05/03/2010
    

Daniel Payne e gli 800 Mile Monday arrivano da Fort Worth ma dopo un lungo viaggio iniziato nell’anno 1871, era di cowboy, terra di messicani, del Rio Bravo e dello spirito dei pionieri: “It is a glorious and uncompromising salute to the great American West and the old pioneer spirit.
We take to heart the wondrous endeavor of expressing the spirit and scale of West Texas to the greater lone star state and beyond
”. Questa è la storia del loro esordio, In The Fertile Gardens of Freedom, sulla morte del West e dei suoi tradizionali quanto disattesi presupposti democratici, sin dall’iniziale e splendida Pitchfork, come una tragedia classica, lugubre e violenta, dove il rock quando incrocia il roots e il country, ne capovolge il senso epico, e lo fanno quando e come vogliono. Better Days è una ballatona malinconica perfetta per confutare ricordi e abitudini lontane, gli 800 Mile Monday controllano e costruiscono nell’alt.country una gabbia in cui poter addomesticare il passato e ci riescono con sorprendente originalità.
Il resto poggia molto sulla voce di Payne, tra stili diversi In The Fertile Gardens of Freedom scorre libero come quelle storie del West, libere ad ogni interpretazione e riempite ogni volta di particolari e dettagli diversi, come tra Picture Show, They Marched Us Off e le ruspanti Synapses Misfired, 10 and 2 Lookin' at 20 e soprattutto l’intensa Back To Texas.
Sconfinano anche nel radiofonico, il passo diventa prevedibile -Taste of Blood e I Won’t Be There- o cercano sperimentazioni -Heaven Knows- ma sempre nel segno del West come ribadisce il finale di una corposa strumentale Mescal Breakdown e i sette minuti di 2 Time Loser dove la slide fa la voce forte con all’interno sempre quel senso di epica ricerca di salvezza che contraddistingue l’interessante esordio degli 800 Mile Monday.