JACKSON TAYLOR & THE SINNERS (Let The Bad Times Roll)
Discografia border=Pelle

     

  

  Recensione del  03/04/2011


    

Non cambia Jackson Taylor, continua a solcare strade di periferia e a sollevare polvere, con chitarre e storie di banditi texani. Anche Let The Bad Times Roll incarna una sincerità e una genuinità di fondo che è tutt’uno con l’interiorizzazione dei temi propria della vita del fuorilegge, e mai come questa volta trova il modo di contrastarne il preziosismo o 'l’intellettualismo' dello stile riabbracciando -come sua abitudine- classici hit di illustri colleghi ma trovando il pretesto per parlare d’altro (soprattutto di politica).
Ne esce l’ennesimo disco colmo di lirismo, freschezza e spontaneità, condito con una certa rudezza e una certa spavalderia figlia del Lone Star State. Jackson Taylor & The Sinners attaccano subito con la splendida Old Henry Rifle, umorismo e ironia da una parte con la steel guitar /telecaster in primo piano di Dan Johnson / Bryant Hunter e l’America dall’altra, sempre più tassata e con le mani nelle tasche dei contribuenti a cercare di spillare soldi nel modo più ‘legale’ possibile. Colorito e sagace come sempre, Jackson strizza ancora il roots/western per cavarne umori e secrezioni, e non lo ha ancora prosciugato a sentire il seguito tra una indemoniata No Show –gran bel tributo a George Jones- e la focosa Boys in the Band, ancora con la steel in cattedra. Let The Bad Times Roll è anche un modo veloce per abbandonare i ‘nostri’ chiaroscuri metropolitani per immergersi nella natura selvaggia e indomita della provincia texana, la transizione è indolore, c’è il Billy Joe Shaver di un’altra perla come Ain't No God In Mexico e le ballatone elettriche -di pura bellezza- come Someone Get Me Out of Here e Better Life, brani che aiutano a passare dal razionalismo imperfetto cittadino all’irrazionalismo campestre.
Jackson sa sempre cogliere il comico (e magari il ‘disperato’) della normalità, mettendo in scena il Rodney Crowell dell’infuocata I Ain't Living Long Like This, ma senza trasformarlo forzatamente in qualcosa di drammatico quando si tratta di parlare del potere e delle infezioni che comporta, come nella title-track, Let the Bad Times Roll, altro gioiellino ruspante che contiene riferimenti al controverso pastore Jeremiah Wright e ai suoi sermoni pro Dio e contro alcuni politici (tra cui il presidente Obama). In chiusura la rilettura di altri successi: la ‘sua’ Broken, anche nella flemma della steel mantiene il suo fascino, e di quello di David Houston con la bella country song Almost Persuaded (live jam) condita dai violini in testa, e in coda da tante parole. Quel solito tatto linguistico, quel savoir faire poco da ‘salotto’ di un Jackson Taylor che resta coerente nel rifiutare schemi e imposizioni commerciali, nel licenziare un suono che non si sottomette ad alcuna linearità se non quella di un potente e rozzo rock/country, molla propulsiva ed obiettivo finale di Jackson Taylor & the Sinners.