BRANDON BUSH BAND (Grabaholt)
Discografia border=Pelle

  

  Recensione del  03/04/2011
    

Come su di un piano liscio, la Brandon Bush Band non si smuove dagli snodi e melodie dell’Ep omonimo del 2008, ma continuano ad inclinarsi a secondo del peso delle chitarre, rotolano continuamente anche nel loro esordio, Grabaholt, ed in ogni direzione melodica: “In the Americana roots and genre, there is a lot of breathing room. It’s still kind of country, but it’s also rock. It’s the hybrid of the two coming together. People are digging it. It might be rock, but who cares.”
Un disco diretto, ben poco articolato, leggero, ma proprio nel suo andazzo semplice trova la chiave per dare vita a della piacevole Texas Music con sferzate chitarristiche e cercando di dare ‘acute’ ridiscussioni della poetica giovanile a cui Brandon Bush rifugge: “The overall theme of the CD, ‘Grabaholt’ is its youthful intensity. A lot of this was written before I was married, and it has a sense of the thrill of the chase, what it’s like to be young and without responsibility and in college. I can look at it now that way.” Sin dalla godereccia Love Me Someday, c’è una libera interpretazione di una ricetta radiofonica ben collaudata (sentire Wild Child) e la creazione di un nuovo piatto texano, sebbene il diaframma sia sottolissimo, quasi trasparente, la chitarra di Brad Haefner prende pieghe molto intriganti, dalla ferrea You Make It Look So Easy, la stradaiola 1970 Chevy, nella coinvolgente Rock N Roll Jezebel -che sprizza energia da tutti i pori-, e queste canzoni fanno presagire che ne ce siano molte altre da ascoltare, e Grabaholt non le nasconde.
Ecco il mandolino per The Lake At Night e A Little Less Booze, country spigliati e ruspanti conditi dall’armonica di Micheal Burgess, con un pizzico di malinconia nelle ballate di Stanley Cup e della intensa Who's Takin You Home che non arrivano mai a inumidirsi per eccesso di tenerezza. Nel finale qualche altra corposa parentesi roots con la toste Mad Dog Mean e soprattutto per God Mad Guns, a sancire un disco più che discreto, più che dignitoso. Ed è già molto di più di qualcosa, specialmente in un esordio.