Il quintetto di Dallas torna al country e al sound delle praterie, le parentesi di roots & whiskey contenute in
This Crazy Life restano superficie pura in
Eight The Hard Way, che è cosa ben diversa dall’essere appena abbozzate.
Nel senso che il vocalist Matt Hillyer sceglie di lavorare sulla superficie dei sentimenti, dei personaggi da barroom, delle connessioni tra cuori in fiamme, senza andare nelle profondità del roots con armonie più dolci, ma gli
Eleven Hundred Springs restano vincolati alle tradizioni degli honk tonker texani, il ritmo di
This Ain’t The First Time (But It’s The Worst Time) è pura festa per violini, steel in compagnia di una slide fumante, d’altronde si parla di divorzio, e tra promesse e delusioni, dalla romantica
For Better or Worse si passa alle vampate country dell’adorabile
Heartstrings a rivelare una concezione dell’amore fondata sui cliché relazionali a cui aspirano tutte le donne, quel bisogno di certezze per fissare il sentimento nel tempo (avete presente le visite all’Ikea?).
Splendida
Stuff You Can’t Refuse e
We Can Work This Out, se l’amore è il campo delle trasformazioni, il quadrato magico degli incroci, lo è anche per la steel di Burton Lee, il violino di Jordan W. Hendrix e il texas roots di un quintetto che sebbene esageri in
No Place Else To Go, e specialmente in
Nobody Loves You Like Me che può tradire un certo impaccio dolciastro, con
Eight The Hard Way restano legati comunque, direttamente o indirettamente, al Texas. Profondamente influenzato da un country genuino, dove si specchiano un romanticismo malinconico,
Not What I Thought You Would Say, con vista alle dance halls in
Hardcore Honkytonk e nella spiritata chiusura alcolica di
We’re From Texas. Fedele ritratto degli
Eleven Hundred Springs.
Altro che romanticismo, altro che sentimentalismo!