Continuano a cambiar pelle i tre songwriters
Colin Brooks,
Ed Jurdi e
Gordy Quist, coerenti alle loro dichiarazioni (“
When we bring it in to the band, the song almost always comes out turned on its head, leaning in another direction from where it started”), ed alle loro esibizioni (capaci di ribaltare i loro classici con una naturalezza e fantasia invidiabile) in quest’ultimo
Top Hat Crown & The Clapmaster’s Son si lasciano sopraffare dagli spazi -assai angusti- trovati nel funky e nel pop-soul, e il suono ne soffre.
Non è di quegl’album travagliati, ma a volte le canzoni sono relegate a tempistiche sbagliate, di incontri di stili non perfettamente riusciti, di melodie a corta scadenza che passano in fretta anche se non lasciano del tutto l’amaro in bocca, ma non a tutti potrà apparire una soluzione discutibile quella della The Band of Heathens di essersi allontanata dal fervore jam degli albums d’esordio.
Non sarà una soluzione di comodo o di necessità (molto probabilmente le cose stanno così), ma le contaminazioni ci sono e si sentono: non vengono fuori dalla campionatura iniziale del Quist di una godibilissima
Medicine Man o dal piano di una avvincente
Should Have Known Better, ma da una
Enough cantata da Colin Brooks che bada molto più alle tematiche che affronta - un quotidiano a briglie sciolte e senza una linea precisa-, dal coretto infinito di
Polaroid che molti accostano ai Jayhawks, ma ha molto dei The Beatles più plastificati, o dal piano pop-melodico di
Nothing To See Here fino alla giostra psicadelica di
I Ain't Running che interessa anche
The Gravity fino alle tastiere/fiati in
The Other Broadway, un loop, un calderone ribollente, carico di ingredienti ma che sconta una certa imperizia culinaria.
La fuga dal rock della
The Band of Heathens sembra fermarsi solo nel finale, dopo un’altalenante
Free Again, riprendendo
Hurricane –splendida e unica cover, di
Levon Helm- si rimettono in riga e tra il roots corale ed acustico di
Gris Gris Satchel e il conclusivo passaggio nel sud della Louisiana con il rock/blues di
Motherland, il cuore della
The Band of Heathens riprende a battere, nel compiere un’ultimo sforzo, dove la ‘band’ si ritrova lasciando all’ascoltatore lo spazio e l’emozione utile a colmare i vuoti di un’album stavolta fin troppo sfilacciato.