Blaze Foley viveva di piccole cose, non aveva bisogno di niente, gli bastava starsene tra gli alberi della sua casa foresta insieme a Sybil Rosen (compagna e scrittrice,
Living In The Woods In A Tree: Remembering Blaze Foley, è un libro capace di ribaltare le prospettive di quella che è diventata una leggenda texana, permettendoci di entrare in un racconto di potente densità). Nato a Marfa al confine col Messico, Foley negli anni ’60 cantava gospel in trio con la mamma e la sorella (la Fuller Family), il padre era un pazzoide ubriaco e la famiglia si frantumò e lui sparì, ricomparendo ad Atlanta, a suonare le canzoni di John Prine.
Negli anni ’70 iniziò a scrivere, difficile vederlo in giro, preferiva la compagnia dei demoni, come quelli del suo amico
Townes Van Zandt -con cui divideva stile musicale, poetica e malinconia-, fino alla tragedia, ucciso a soli 40 anni. Di parole su
Blaze Foley se ne sono sentite fin troppo, dal poeta, icona del folk texano, alla reputazione di folle (ma quel folle, come tanti altri, ha rappresentato e rappresenta la speranza di una società contorta, capace di ricordare che la vita è ben altro di quello che le persone credono e ricordando ad ognuno il valore straordinario che un essere umano ha). Se ne sono accorti al Kerrville Folk Festival dove fu cacciato per aver cantato -con minuziosi dettagli- di cosa avrebbe fatto al dittatore ugandese Idi Amin (un pazzo sanguinario fascista allo stato puro, forte con i deboli e codardo coi forti) ma anche Lyle Lovett, John Prine, leggende come Townes Van Zandt che gli ha dedicato canzoni come Blaze’s Blues (senza dimenticare Lucinda Williams con Drunken Angel).
Blaze Foley alla felicità girava attorno di continuo, non aveva idea di come poterla tenersela stretta. Decorava i suoi abiti e le scarpe con il nastro adesivo, trascorreva giornate intere sul divano, possibilmente a casa di amici, come
Gurf Morlix con cui ha condiviso la musica, ma anche le contraddizioni di una vita piena di luci e ombre. Chi meglio di lui per dedicargli
Blaze Foley's 113th Wet Dream, lo splendido tributo del songwriter, musicista e produttore texano, 15 rivisitazioni a rappresentare i due volti di Foley, umano e demoniaco. ‘
Love songs & ballads’ il mondo su cui rifletteva Foley, un mondo di solitari e perdenti, fatto anche di momenti spensierati come nella divertente
Big Cheeseburgers and Good French Fries celebrazione della vita legata al piacere, a
Wet Dream, non è scabrosa come potrebbe sembrare, c’è humor ma non è comica come la title-track, dove il blues parlato di
Gurf Morlix è perfetto, come gli arrangiamenti scelti per rappresentare molte delle tormentate riflessioni di
Blaze Foley's 113th Wet Dream.
Servendosi di precisi meccanismi di lettura e ricezione, utilizzando un corredo di melodie tra blues e folk, delle esche simboliche che arricchiscono un songwriting già fecondo di stimoli,
Gurf Morlix non usa particolari abbellimenti, le canzoni sono scarne, elettro-acustiche e belle proprio per quello, riacquistano luminosità, dona la sua voce a una serie di looser -proprio da
Baby Can I Crawl Back To You- che si muovono tra notti in gattabuia, smoky barrooms, nuotate in fiumi che costeggiano la natura. Meravigliosa
Clay Pigeons (conosciuta grazie a
John Prine) dove si narra di un uomo che gira per una stazione di autobus sognando una vita migliore “
I'm tired of running around looking for answers to questions that I already know, I might build me a castle of memories just to have somewhere to go.”
La disperazione avanza in
Cold Cold World,
For Anything Less (“
If I could win your love again someday, you know I would, I'd try my best. But I've looked around and I don't think that I can settle for anything less”) al duetto struggente con Kimmie Rhodes in
If I Could Only Fly, in un mondo che non sta in piedi, tra un circo mobile in via di sfaldamento o già sbriciolato, tra un universo di solito familiare, diventato illogico e incoerente, uno sguardo che invece guarda il tutto con affettuosa, rigorosa, precisa ed esatta determinazione: nella celebrazione della povertà in
No Goodwills Stores in Waikiki, alla nostalgia in
Picture Cards, al vero amore di
Ooh Love -gran lavoro alla pedal steel di Gurf-, e di un romantico dal cuore spezzato in
Oh Darlin’.
Canzoni bellissime, mosse da elementi di angelismo o di demonismo, leggere e tenebrose,
Gurf Morlix costruisce un’auto esplorazione molto personale di
Blaze Foley, lo denuda dietro, davanti e attraverso una strumentazione elettrica aggiunta in perle come
Down Here Where I Am,
Small Town Hero,
In the Misty Garden / I Shoulda Been Home With You e
Rainbows and Ridges, ribadisce che in
Blaze Foley's 113th Wet Dream ci ha messo molto di suo. Come quando ci si immerge nella lettura di un romanzo, verso un territorio sconosciuto da conquistare, per scoprire l’unico orizzonte che valga la pena di contemplare. Quello dell'amico Blaze Foley.
Nota: All'imminente South by Southwest, Gurf Morlix presenterà l'intero cd prima dell'anteprima del documentario Blaze Foley: Duct Tape Messiah diretto da Kevin Triplett.
Il modo migliore per festeggiare il 25° anno del glorioso Music Festival della capitale texana.