GABE ZANDER (Punk Rock Redneck)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  28/02/2011
    

Dalla scena punk e hardcore di New York al country di Nashville. Ma appena partito ha subito deviato, per girovagare, per fare della “true working class country” ci vuole spazio, perchè Gabe Zander è un fuorilegge e vuole occupare un posto singolare. Un songwriter stravagante, originale e sbandante, non si spreme di certo le meningi, la poesia è claudicante in Punk Rock Redneck, il disco d’esordio: "I'm not a musician. A musician is somebody who makes music. What I do comes out of me because of who I am. It comes from what I see around me. Really, I'm a reactionary – a crybaby."
Ama viaggiare sempre in compagnia di un bel paesaggio –non certo da cartolina-, alla ricerca di qualcosa dove perdersi più o meno felicemente, al countryman del New Jersey pieno di tatuaggi (mascotte degli Iron Maiden, Mohawk e i Simpson e con un padre professore che scrive poesie e canzoni dal titolo “Does Your Mother Know You're Sleeping with a Hippie?"), le palle fumano come le chitarre e i violini sin dalla rovente e deliziosa Bobby Lee, ma con il cuore d’oro per quelli che lo conoscono (“He has a personal preference towards always keeping busy, sleeping, or being intoxicated, he still loves his Mom, Dad, Jesus, America, and is very partial to apple pie”).
Country alcolico, saltellante e da barroom in Whiskey Heroes e Another Pint of Whiskey, punte bluegrass in Wild and Free o con l’impronta ‘outlaw’ in Could've Killed You o nel mix inebriante di Next To You, e le rende tutte con immediatezza e semplicità, senza grosse pretese autoriali anche quando con le giuste pause, trova modo di calare un velo sulle ingiustizie, in presa diretta sulla realtà a catturare frammenti di vita in Harder Time, sulla tragedia di un ventenne pusher morto in carcere, un country-roots ruspante e chitarristico che va in coppia con la splendida Old Prison, mandolino e vibrante telecaster, mentre disegna volti, tensioni che restituiscono un calore quasi fisico, che sembra appiccicarsi addosso col banjo -tutto da assaporare- della title-track.
Ci sono continui cambi di ritmo dentro Punk Rock Nedneck, come una sorta di balletto impazzito che dura fino alla conclusiva Steel Reserve, con solo una malinconica e toccante ballad, Andrea's Song, a proporre all’ascoltatore una dimensione di Gabe Zander che non sia scontata. Mi sembra che ci sia riuscito, alla grande!