REVEREND PEYTON'S BIG DAMN BAND (The Wages)
Discografia border=Pelle

             

  Recensione del  31/01/2011
    

Il reverendo Peyton, la moglie e il fratello batterista (ma c’è anche un cugino a mantenere il disco ‘in famiglia’) allontanatisi a bordo del loro furgone dalla rurale Indiana: “We sold everything we owned in a big yard sale and just hit the road” per un’esordio coi fiocchi, The Whole Fam Damnily, tornano con The Wages. Sempre liriche genuine sul sociale e la politica, il reverendo parla chiaro altro che il carattere bigotto, il conformismo dell’educazione cattolica degli istituti -e non solo religiosi- che dominano specialmente nel nostro paese.
Ma non basta, alla The Reverend Peyton’s Big Damn Band, con un folk spiritato tra bluegrass e old country blues: “Write songs about things that are happening now and people we know, but kind of kick it up a little bit, you know?”, i 14 brani di The Wages lasciano sì una sensazione di malessere che non si riesce a grattare via neanche dopo vari ascolti, ma anche di estremo piacere.
Sotto la minaccia del consumismo c’e sempre speranza e ottimismo, sin dall’iniziale e adorabile Born Bred Corn Fed in cui si vive di ricordi della vita agreste trascorsa tra le 14.000 anime di Brown County che hanno lasciato per far musica ("I grew up in the country, and rural life and rural culture has shaped me and my music," dice il reverendo Peyton), e il ‘romanticismo’ cala sui ricordi di The Wages, dall’armonica accorata di Redbuds alla country love song di Sugar Creek, a quella perla di Just Getting By ma con la celebrazione dell’essere ‘diversi’ nella sfrontato ‘dirty blues’ di Clap Your Hands, l’umorismo tende ad accompagnarsi alla malinconia, il rincrescimento all’affetto, la contentezza agli affanni, come se tutti i fantasmi della nostra società fossero sempre vivi, e dato che non vogliono andarsene, il blues fangoso calza perfettamente anche tra gli amori irrequieti di Sure Feels Like Rain e nei meravigliosi cambi di ritmo di That Train Song.
A sentire la dolce novella di Everything's Raising sul costo della vita e sulla middle class americana ("Gasoline, groceries and our ages / Everything's raising but the wages") o la dolcezza acustica di In a Holler Over There -un sincero e profondo riconoscimento alla famiglia e alla fattorie abbandonate al loro destino-, il filo conduttore di The Wages lo si può tranquillamente incollare al disco precedente, quasi ne fosse una prosecuzione, quasi fossero un unico album.
Quel gusto di navigare lungo il bordo della catastrofe, ed intanto ritrae le miserie umane con immobile precisione, gli omicidi della splendida Lick Creek Road, con una ‘comicità’ concettuale, ‘fredda’ nelle cipolle di Miss Sara, potente con una fisa bella calda in Two Bottles Of Wine, disperata e scoppiettante come in What Go Around Come Around al grido: “Didn’t your mama raise you better?”, statica e prorompente nella strampalata Ft. Wayne Zoo: "My brother saw a chicken at the Fort Wayne Zoo / Fort Wayne Zoo's got chickens... / Lot of crazy women living in Fort Wayne / Fort Wayne girls are crazy."
Brano dopo brano, quadro dopo quadro, la The Reverend Peyton’s Big Damn Band come in una lunga strip a fumetti, come quelle strisce giornaliere dove un disegnatore, a colpi di poche vignette al giorno, costruisce un mondo fatto di momenti isolati eppure tutti compresi dentro uno stesso orizzonte. The Wages vive proprio lì.