SEVEN HOURS TO SOUTHLAND (Seven Hours to Southland)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  30/01/2011
    

Derek Hicks è californiano ma negli ultimi 2 anni ha frequentato assiduamente solo i palchi tra l’Arkansas, Louisiana, Texas e l’Oklahoma del cugino Grady dei Cross Canadian Ragweed: "I grew up watching my cousin pursue his dream and always hear him saying that it can't be about the money or the fame and just to get out there and play, just play what you love and nobody can stop you". Quello che racconta il leader e vocalist dei Seven Hours to Southland acquista senso nell’overture iniziale del disco d’esordio omonimo, il suono sembra un’entità sfuggente, dilatata in una durata indeterminata su una strada che al tempo stesso brucia velocemente nel rock arioso di Population You e nella deliziosa striscia di fuoco che accompagna la chitarra di Kyle Roop nella magnetica One Horse Town.
Seven Hours to Southland nei primi brani, procede nervosamente, a salti bruschi ed ellittici riannodando i fili delle varie storie intorno alle lande texane, chiudendosi ad anello e respirandone l’aria nella splendida Rattles In the West, lo attraversano con serena noncuranza, senza lasciarsi fermare da nessuna parte, come creature volatili la matrice southern se la legano alle chitarre e non la mollano. Ma dopotutto il paesaggio richiama il country, ecco una parte centrale intrigante e ruspante che inizia con la lap steel e slide di una deliziosa Moonlight & Moonshine, i Seven Hours to Southland non compiono voli lirici, non poetizzano ma restano raso terra e non perdono il contatto con la realtà texana con una strumentazione varia e un sound che costeggia il roots con dolci ballate come Lullaby o la aggraziata Hell or Mexico fino alla introspettiva More Than You Could Ask.
Chiusura invece compatta, un rock forse più facile e scontato come Cross That Line ma la bella sorpresa della ruvida Willie's Last Stand fa pensare alle parole scritte sui loro show -descritti come "90 Minutes of emotional fury"-, allora questo brano dal vivo farà un figurone, e ci aggiungo anche la freschezza e il restyling di Carolina. Insomma nel complesso Seven Hours to Southland risulta leggero e molto gradevole, azzecca ritmi e canzoni. Vale la pena farci una sosta!