FIFTH ON THE FLOOR (Dark Bloody Ground)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  30/01/2011
    

Ecco un disco di classico rock con i fantasmi di Hank Williams a danzare felici, e quando il passato incontra il futuro di certo non avremo robaccia radiofonica, in Dark Bloody Ground si viaggia contromano, puro aroma di periferia, american roots, voce possente e vortici di chitarre dal Kentucky. La leggenda chiama, i Fifth on the Floor fanno di tutto per non deludere e premono sul pedale di un magniloquente rock sudore e chitarre, un uno-due iniziale con Hell If I Know e la splendida Shine ad ingrandire il quadro invece di restringerlo ad un semplice suono chitarristico, una nuova dimensione ‘povera’ perché si muovono tra i campi di raccolta del profondo Sud operaio, tanto whiskey (quello ‘assaporato’ nell’esordio The Color of Whiskey) della loro terra Lexington, condito con una mistura gradevolissima di stampo honky-country, southern jam, anni ’70 che allungano Dark Bloody Ground a Memphis alla lousiana, fino all’arido Texas.
Un disco sanguigno, duro ma con parentesi agresti molto intriganti come per On My Way e Another Day che non permettono all’ascoltatore di perimetrarlo, di tenerlo sotto controllo, di abitarlo tranquilli, le scosse e le corse chitarristiche di Missin' the Mornin' e Georgia sono una sorta di autoreferenziale marchio d’autore per i Fifth on The Floor, una melodia che mira a dichiararsi differente da quella anonima e senza personalità del rock costruito pensando alla radio, l’armonica bluesy che si muove fiera nella vibrante Front Door Blues è una degna coloritura emozionale che raggiunge l’apice nell’incantevole ballata di The Fall, whiskey, piano e poesia che si ritrovano a fare i conti con la distanza che c’è tra l’idealizzazione dell’amore e le difficoltà del quotidiano.
Melodia e solo finale percorrono esattamente gli itinerari espressivi di strade maestre degli anni Settanta, oramai si son fatte obsolete, ma la lucidità dei Fifth on the Floor e nel saper rispolverarle ridonando nuova luce ad un ‘romanticismo’ che sta indicare un continuo senso di inappagamento, lo struggersi per qualcosa difficilmente definibile, il male del desiderio, il desiderio del desiderare che infiamma Distant Memory Lane, altra perla voce e chitarra iniziale per un rovente cambio di marcia nel finale. A chiudere la coinvolgente e festaiola Drinkin' Friends, brano che alza non solo il tasso alcolico ma anche la piacevolezza di Dark Bloody Ground. Punta in alto, molto in alto, semplicemente perché riesce a convincere da qualunque parte lo si giri.