Rob Blaine, chitarrista-bluesman che suona dall’età di 15 anni tra Chicago e il Michigan, è al primo disco
Big Otis Blues, uno di quelli a cui non è facile sottrarsi. La ‘trappola’ per l’ascoltatore è duplice: dall’iniziale
Not The Forgiving Kind si riconosce e non si può dar certo per scontato i segni dello stile inconfondibile del blues, chitarre e sudore, poi dalla ballata di
Only Mine -una perla-, la capacità di una personalissima rilettura del passato, basata sulla infinita combinazione di pochi essenziali strumenti capaci di avvolgerti e legarti alla poltrona.
Registrato per la nuova casa discografica, la Swississippi Records,
Big Otis Blues attraversa il blues e il rock, e lo attraversa con una carica invidiabile, in
Hour Glass Baby e
Affection And Pain ne misura le distanze come se fossero due luoghi diversi, come tra una persona e l’altra, e quando diventano emozioni, sono di quelle capaci di arrivare al cuore con la splendida
Same Old Blues, perfetta, non c’è dubbio.
Una strumentale
Gone, Not Forgot a privilegiare la lap steel, l’acustico, accostata alla legnosissima
Trouble, sembrerebbe troppo castigata, ma riesce a scaldare l’anima mentre l’altra principalmente ‘le orecchie’, ma
Rob Blaine è uno di quei bluesman che non appaiono mai indecisi tra il tuffarsi nella malinconia del blues (incanta, nel solo di
Can't Help But Wonder) riuscendo ad uscirne senza sgonfiare l’insieme tra virate chitarristiche che prendono fuoco rapidamente,
Must Be Nice e
Don't Burn Down The Bridges, a quelle in cui si prende tutto il tempo per respirare, l’intensa
Find A Way e la conclusiva rivisitazione di
Must Be Nice. Tanto è calibrato
Big Otis Blues, tanto violenta è la tempesta emotiva che lo colpisce.