KEVN KINNEY (Broken Hearts and Auto Parts)
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  Recensione del  26/02/2004
    

Kinney non è un esordiente, ma un musicista navigato: quindi che diavolo ci fa in una rubrica come Lost Highways? È presto detto: Kevn incarna l'anima del movimento Roots, è un antesignano dello stile americana e questo suo nuovo album ha lo spirito giusto per diventare un piccolo classico del genere. Prima di tutto è un disco indipendente, poi è stato realizzato con un budget microscopico, usando musicisti poco conosciuti. Kevn stesso, che è ancora a capo dei Drivin' n' Cryin', è un autore che sa scrivere musica legata alle tradizioni e Broken Hearts & Auto Parts è un'opera che da lustro alla sua credibilità. Kinney ha esordito come solista con l'ottimo MacDougal Blues (1990), quindi stando dentro e fuori dai Drivin', ha registrato da solo Down out Law (1994), The Flower and the Knife (2000) e questo recentissimo Broken Hearts & Auto Parts.
Bel titolo, cuori spezzati e parti d'automobile, che richiama la mitologia della musica on thè road e di certo cantautorato americano, in cui amore e macchina vanno di pari passo. Ma le sue liriche vanno ben oltre questa terminologia qualunquista e si addentrano nei meandri del personale, dell'immaginario: Kinney è naturale nello scrivere come nel l'interpretare le sue canzoni. Il suono poi, una miscela di influenze sudiste e di risoluzioni roots, è solido e poco cerebrale. Kevn è un autore della working class, come il leone Bob Seger: non ha la potenza di Seger, ma gli stimoli sono quelli, la musica è altrettanto sana, ed i dischi mai sotto il livello di guardia.
Ma rispetto agli urban rockers per eccellenza, gli eroi della classe lavorativa americana (Seger, ma anche Mellencamp, Springsteen e tutto il suo seguito) Kinney è meno cittadino e più rurale: la sua anima campagnola si riflette molto bene nella musica. Per questo quarto album solista si avvale del supporto di Leon Overtoom, batteria, Dave V Johnson, batteria, Phil Cohen, basso, Johnny Irion e Sarah Lee Guthrie, backing vocals. Piano, chitarra e voce solista nella mani dell'autore.
Dieci canzoni, tra rock e radici, con un brano acustico di oltre otto minuti che chiude il disco e che sancisce il valore del nostro come autore ed interprete (con la figlia di Arlo, Sara Lee Guthrie alla seconda voce). A Good Country Mile è una composizione tenue, con le voci che vengono affiancate da una strumentazione scarna, ed una melodia flebile che scorre lineare lasciando largo spazio alle voci.
Il resto è più elettrico. Dall'apertura con la tonica Broken Hearts and Auto Parts, ballata elettrica dal tessuto roots, gentile per la parte vocale e solida in quella strumentale, che gioca le sue carte migliori sul ritornello centrale a due voci. Alla veloce It's Comin' Down This Way che contiene elementi folk e si adagia su un ritornello gentile, a Back Roads and Rainy Days che ha un giro di chitarra arcinoto e che vira decisamente verso il country rock, ma ha dalla sua una notevole freschezza di fondo.
Anche Yes That's Me è rock, con degli stacchi alla Mellencamp, mentre Timeè gentile ed innocua. Molto meglio la solida Why Does It Feel So hard To Say o la notturna No Blues, in cui un sax caldo accarezza a fondo la melodia.