Ventenne chitarrista di Cincinnati, mente lucida e lavora sodo ("
Music is the one love of my life that will never die. It is stronger than any other form of art in the way that it speaks to you”), invece di costruirsi una cuccia nel sottoscala di un patetico programma televisivo (sogni di cartapesta così amati dalle nostre parti) si è andato a cercare il blues dopo l’ascolto di
'Tribute To Muddy Waters', brano che è diventato fonte primaria di ispirazione da colui che poi è diventato un grande amico, ovvero
Walter Trout: “
I could not believe what we had just heard. At the time, i didn't know what the blues was. I was just stunned at the sound that i was hearing. It was like listening to exactly what i wanted out of myself."
Scrittura a tratti scuri, piangere o ridere dipende solo dall’ascoltatore, con l’appoggio della famiglia Hargis (padre e figlio al basso e batteria) rock e blues corrono parallelamente in
Price to Pay, disco d’esordio della
The Josh Pilot Band capace di sollecitare reazioni emotive che non siano del tutto casuali. Difficile crederlo quando Josh Pilot suona la chitarra e non mira certo alla sonnolenza nel bel mezzo della title-track o di
So Long, dirompente in
Leavin' Letter, il rock/blues della
The Josh Pilot Band è spietatamente fisico, materico, eppure nello stesso tempo riesce a restare onirico nella breve strumentale di
What's Behind The Sun e nei 6 minuti di
Mayday o dell’intensa
Drowning In Misery, capace di produrre un effetto straniante per l’uso del sax e tastiere, ma al tempo stesso ammaliante come nella scelta di un folk-roots elettro-acustico per
When I'm Dead.
Lungo la
Highway 101 si corre spediti, schegge di rock 'n' roll e donne appuntate sulla forma primaria dell’american style, echeggiante nella trillante
Somebody Help Me per chiudere con la melmosa verità della splendida
Can't Fake The Blues.
Price to Pay muta forma ad ogni colpo di chitarra e acquista densità e significato negli schemi del rock&blues, segreto e novità della
The Josh Pilot Band.