MARTY STUART (Ghost Train. The Studio B Sessions)
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  Recensione del  01/12/2010
    

16°esimo album per Marty Stuart registrato al prestigioso Studio B di Nashville (Elvis Presley, Waylon Jennings tra le tante illustri presenze) dove si vive e respira -negli intermezzi aperti dal pentagramma musicale della storia- la cultura e le tradizioni della country music, quella ancora capace di scuotere a ritmo di mandolini e steel guitars. "What inspires me now, is traditional country music," dice Stuart. "It's the music I most cherish, the culture in which I was raised. I found traditional country music to be on the verge of extinction. It's too precious to let slip away. I wanted to attempt to write a new chapter", ovvero Ghost Train, The Studio B Sessions: hillbilly rock, country ruspante, sincero anche nelle ballatone tra lacrime e ricordi, in boschi ombrosi dove i raggi di sole dell’allegria non fanno per niente fatica a penetrare, prato che verdeggia e brulica insieme come nello scoppiettante avvio di Branded -che si tira dentro il Merle Haggard di Branded Man- e di Country Boy Rock & Roll di Don Reno, il via libera alle steel guitars (una squadra composta da Gary Carter, Kayton Roberts, Ralph Mooney, Robby Turner, Fred Newell e Tommy White!) assestando con la ballatona di Drifting Apart la giusta dose di alcoliche e lacrimevoli ‘old ballads’.
Marty Stuart dopo i Sioux e la cultura degli Indiani d’America di Badlands (passando per gospel ed esperimenti bluegrass) rinvigorisce le tradizioni del country e in Ghost Train, The Studio B Sessions non si fatica a riconoscerne l’anima con i suoi pregi più roboanti in Bridge Washed Out (rivisitazione di una cover degli anni ’60 di Warner Mack con del sano rock) e nella splendida Little Heartbreaker (The Likes Of You) o nelle cadenze forzamente melense e strappacuori di A World Without You, così coinvolgenti in I Run to You -in duetto con la moglie Connie Smith-, quel gusto spavaldo di saperle rispolverare procedendo a zigzag tra spegnimenti e continue vampate di colore (tra cui una strumentale Hummingbyrd, tributo al chitarrista dei Byrds, Clarence White).
La cashiana (in tutti i sensi) e splendida Hangman, apre una seconda parte in cui si stempera l’inteniremento delle liriche per lasciar campo alla critica sociale, di vita e lavoro di uno straziante carnefice ("I killed another man today" canta Stuart) lavorando sulle nostre coscienze sociali con le frustrazioni di un Hard Working Man ("In better times / In Old America / We sang the 'Working Man's Blues' with such pride") ballate acustiche profonde fino a messaggi surreali e metafore per un Porter Wagoner spedito sulla terra da Dio ad illuminare i conflitti interiori di un uomo per farlo ritornare dalla moglie (voce, slide e boots per la struggente Porter Wagoner's Grave) che scorrono lungo le rotaie bluesy e misteriose affidate al mandolino di Mississippi Railroad Blues scosse da Ghost Train Four-Oh-Ten, dove nostalgia, dolore, amore e ricordi bussano alla porta di un viaggio nel country targato Marty Stuart che anche questa volta non conviene saltare.