Sembra essersi delineata una nuova e fertile strada nel mercato Red Dirt per
Mike McClure, non proprio condivisibile, ma certamente più commestibile per le charts americane. Il country di un passato glorioso nei
Great Divide negli ultimi anni si presenta come un’appendice, quasi incidentale, marginale, sbiadita, che segna anche le dieci canzoni di
Halfway out of the Woods, un disco che mostra le stesse inclinazioni del precedente e discontinuo Zero Dark 30, ma sebbene siano ancora una volta infarcite da stili melodici diversi che si accavallano in modo più o meno forzoso, hanno maggior densità e ne consegue che i brani non perdano spessore e carisma strada facendo.
Il sound chitarristico dell’Oklahoma è più presente, lo si avverte tra i coretti di
Hide From the Sun, tra le trombe della magica
Bumming Around e tra l’organo e derivati pop che partono da
Ezekiel's Wheel fino ad
Everything You Know e
I Know Who I Am.
Mike McClure in superficie sembra trattenersi, salvaguardando la melodia riesce a tradurre note e storie lungo vie più elaborate, lontane dal commerciale con la slide e il piano malinconici -stile vecchia maniera- nella cover di Steve Fromholz,
I’d Have To Be Crazy.
Cambi di stili che solo un songwriter dalla rodata esperienza si può permettere d’infilare con simile incurante nonchalance, ma bastano?
Halfway Out to The Woods è fatto di dilatazioni e sospensioni continue, culminanti in un'ellissi sfacciata e ardita in
Love is Revenge, assaporando il sano tocco roots solo nell’elettro-acustica bellezza di
Into the Blue e nel mandolino e armonica del finale di
Halfway Out. Un disco come
Halfway out of the Woods bisogna saperlo prendere per quello che è.