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Secondo disco per Cody Dickinson e la
Hill Country Revue, progetto alternativo al
North Mississippi AllStars partito sulle radici del blues ma che sta cambiando pelle col passare del tempo verso un suono più ruvido, meno originale di
Make a Move perché la Hill Country Revue non procede, ma indietreggia, declina suoni e melodie al passato conosciuto targato ‘AllStars’ e di un rock classico tanto che
Zebra Ranch vibra senza sosta, incendiando e scalfendo.
Il blues tenta invano di resistere, si spinge sull’acceleratore sin da
Raise Your Right Hand, le chitarre di Kirk Smithhart avvolgono la voce decisa di Daniel Robert Coburn e spingono insieme, ondeggiando nel funky-blues per rivestire le note di
You'll Hold My Woman e
My Baby Don't Know, tanto che
Zebra Ranch sale e poi precipita, ogni tanto si fatica a contenerlo tanto che sguscia via in
Hill Country e
Going Down per poi arrestarsi improvvisamente in sperimentazioni ad ampio raggio come in
Where You Belong o in
Do Work non certo deludenti, ma lasciano interdetti. “
Make A Move was an artistic transition, Zebra Ranch is a personal one”, precisa Cody.
“
This album is a yell of rock and roll rebellion. It’s also a loud cry for purpose, meaning and truth, straight from the soul. This record captures a band realizing its sound to the fullest potential”, e a sentire la splendida
Chalk It Up come non dargli ragione. Ma con 14 brani -dedicati al padre di Cody, leggendario produttore e musicista scomparso lo scorso anno (lo stesso titolo del disco richiama il nome del suo studio, dove entrambi i dischi della Hill Country Revue sono venuti alla luce)- a volte succede che per voler dire troppo e troppe cose, si finisce per infarcire un disco come se fosse un gigantesco sandwich, a complicare ciò che per definizione è semplice: ovvero la bellezza naturale di
Idyll e
I Don't Know About You, l’armonica che comanda la brillante
Bottom $ e la strumentale
Zebra Ranch (molto meglio dell’altra, ovvero
Second Street) e della fiammante versione corale degli stones in chiusura,
Wild Horses.
Zebra Ranch è un disco sfilacciato, squilibrato, ma riesce comunque a vivere della ricchezza di queste nuove ‘deformità’ sonore.