Justin Townes Earle in rotta verso la New York di chi si sporca ancora le mani, quella proletaria, quella del ponte e della galleria, non certa quella spocchiosa dell’Upper East Side, anche se
Harlem River Blues sembra scritto prima che cambiasse città, viaggio iniziato dal Tennessee, costeggiando le rive del Mississippi a sentire la soave e limpida bellezza della title-track, l’alt. country lo lascia per strada man mano che la ‘grande mela’ si avvicina, come il folk, il jazz, il rock e la roots music -quella si che c’è l’ha nel sangue, altrimenti non si chiamerebbe Townes!
Fresco vincitore del ‘
The Best New & Emerging Artist at the 2009 Americana Music Awards’,
Justin Townes Earle si riapproria del territorio, di riscoprire l’America e le tradizioni viste da un ragazzo a cui il solo country (forse) minacciava di soffocarne la dimensione artistica così gioiosamente vitale nei primi dischi che in
Harlem River Blues ritroviamo sporadicamente, adesso preferisce mischiare più rock e anni ’50 come in
Move Over Mama, con l’armonica in
Ain't Waitin' e nell’irish folk della suggestiva
Wanderin'.
Si riscopre più profondo di quanto potesse aspirare nelle nottate folkie di
One More Night in Brooklyn, e come dice lui, troppo tempo nello stesso posto potrebbe davvero nuocere alla salute, o di quando nell’acustico candore di
Workin’ for the MTA affronta il tema del lavoro, di quei lavori del ‘cazzo’ che servono solo per pagare le bollette (quì la malinconia della steel guitar era necessaria!) o nell’autobiografica e splendida
Slippin' and Slidin' con l’aggiunta dei fiati, presenti insieme al piano nell’intensa
Christchurch Woman che potrebbe sembrare ironica, ma sembra più un ritratto disperato e di fuga da una vita irrisolta.
Violino e venature country tirate fuori al momento giusto nel finale, quando si tratta di conciliare una vita fatta di compromessi tra cuore e stoico amore solitario in
Learning to Cry, stesso cuore che batte nella meravigliosa rock ballad di
Rogers Park. “
Workin’ songs, travelin’ songs, hard-lovin’ songs, payin’ the bills songs, songs for the truckstop & the honky tonk”, scrivono in America di
Harlem River Blues, un disco a cui il country resta attaccato come dei residui di ferro ad una calamita, ma per
Justin Townes Earle è una promessa –più che una premessa- di originalità.