Al texano
Max Stalling riesce sempre molto semplice rendere il legame tra cantautorato tradizionale, honky tonk e l’anima del country così stretto, un’indiscernibile denso groviglio che raramente tanta eredità ha goduto di così onorevole e affettuoso profitto come dall’ascolto di
Home to You –sesto disco prodotto da Lloyd Maines. La forza del nuovo disco di
Max Stalling risiede nella capacità di emozionare senza necessariamente cedere alla malinconia, di saper passare in punta di piedi dalla ballata strappacuori al tocco ruspante e viceversa, di parlare con semplicità di cose anche complesse, di offrire con poche pennellate un quadro melodico che non ha bisogno di ulteriori ritocchi.
La piacevolezza di
Long Way To Get dimostra che a certi cantautori non occorre alzare la voce per farsi ascoltare,
Max Stalling è fra questi, mandolino e scenario roots texano nella splendida
Have I Ever Told You a comporre un puzzle dove ogni tassello ha un movimento proprio che si inserisce in modo armonioso in
Home to You: dal verace honky tonk di
I Ain't Drinking Alone alla nuova pelle di una sfavillante
6x9 Speakers-Revisited, al lato tenero di un ragazzo ‘selvaggio’ nella ballata incantevole di
I've Got Something per arrivare a sommarle tutte nella meravigliosa dolcezza di
Home To You, dove si scava in profondità per far emergere ‘ricchezze’ celate nel profondo.
Max Stalling si avvicina, sfiora e seduce l’ascoltatore dall’inizio alla fine di un disco confezionato con professionalità, con la Blind Nello su cui poter sempre contare e non ultimo, senza ruffianerie ma con tanto sano country. Pimpante e genuino, con un tocco swing, in
Crazy Like That ad
All I Ever Wanted To Do in giro continuo tra “
gasoline and road”, ballate slide, lap steel e quella voce su cui costruisce il fascino di
I Could Be Wrong, aggiungendovi fisa, mandolino per
Saddest Song Ever e alla fine si pongono tutte di tre quarti al cospetto della tristezza. Così
Home to You in chiusura ci rivela tutto lo scarto esistente fra il songwriting, la melodia dei colori e dei suoni del Lone Star State con quella perla di sei minuti texan’ roots, ovvero
Fantasy Dinner: deliziosamente ‘inattuale’, sgangheratamente fumettara, politicamente scorretta e romanticamente texana.