Produzione indipendente -registrato nello studio del Massachussetts,
Ray LaMontagne al quarto disco incontra i
The Pariah Dogs, band che riesce a donare la luce calda dell’elettrico ad un’immancabile equilibrio compositivo, lo stridere degli accordi segue uno sviluppo lineare continuo su memorie autobiografiche, solitudini e nostalgia ancor più scure di Gossip in the Grain.
Abituali dissolvenze in nero che si calano come per l’iniziale
Repo Man in un andamento blues-funk di 6 minuti vagamente ipnotico,
God Willin' and The Creek Don’t Rise presenta in apertura la chitarra di Eric Heywood e la pedal steel di Greg Leisz e con la meravigliosa ballata di
New York City's Killing Me la voce e la scrittura di
Ray LaMontagne: la solitudine per una donna, il vuoto della strada a cui si reagisce raddoppiandolo, rendendolo interno oltre che esterno lungo una città dove “
no one looks you in the eyes / no one asks you how are you doing? / They don’t seem to care if you live or if you die.”
La struggente slide della title-track aiuta a disporne le note come carte di una scala, o di un solitario e tutta la prima parte di
God Willin’ and The Creek Don’t Rise esplode in una serie di ballate di assoluta bellezza, roots più elettrico alla ricerca di sogni in
Beg Steal Or Borrow o da un portico in campagna a godersi il banjo di
Old Before Your Time che si sovrappongono cercando di sfumare le ombre nostalgiche di brani come
Are We Really Through e
This Love Is Over, di indubbia suggestione.
Anche nel finale riesce a conciliare creatività, malinconia e amore, con le chitarre di
For The Summer, l’armonica -anche per l’acustica e splendida
Like Rock & Roll And Radio- e sembra che un soffio di vita riesca a penetrare l’oscurità attraverso il gracchiare di una radio, rock n’ roll e diavoli, fino alla trascinante perla rootsy finale di
Devil's in the Jukebox. Insomma l’inferno in cui si è trasformato il sogno rivoluzionario del rock a contatto con la brutalità del reale, magicamente riassunto da
Ray LaMontagne & The Pariah Dogs.