PAUL THORN (Pimps and Preachers)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  31/08/2010
    

La fonte di ispirazione del nuovo disco di Paul Thorn è da trovarsi nel ritratto di famiglia della copertina di questo nono disco: il padre (Prechear) e lo zio (Pimp). Nel mezzo e davanti ad un bivio dove dominano salvezza e peccato, c’è Paul Thorn: “That little boy represents me” precisa Thorn. “I’m in the church group but my eyes are looking back to the streets where all the sin is going on. It shows me being intrigued by the broad world. That s why I made this my album cover: It describes who I am”.
Un disco quindi autobiografico (naturalmente la title-track non poteva che essere un tributo affettuoso a queste due figure) ma l’immaginario di Thorn appare musicalmente ancor più genuino e gradevole, poi come songwriter ha raggiunto da tempo quella maturità stilistica che gli permette di controllare sia il ritmo del rock con lo humor e la ballata elettrica tra folk, blues e roots: da You're Not The Only One, allo spassoso saggio di Tequila is Good for the Heart, la poesia prende il centro della scena, da un tatuaggio riempe Love Scar :"If I could be a tear rolling down your cheek and die on your lips, my life would be complete", nella mezz’età e le speranze di un cuore bistrattato affidato alla dolcezza toccante del violino in Ray Ann’s Shoes, a quando si rivolge a Dio nella splendida I Hope I'm Doing This Right.
O nel ricordo di dolore post-Katrina di un’altra ballata coi fiocchi come Better Days Ahead: mandolino, piano, fisa e una graffiante chitarra a farsi valere con discreta e ‘silenziosa’ insistenza, come una dolce abitudine che ci accompagna in un finale molto suggestivo. Senza contare che ci sono di mezzo chitarre che pungono come spine, per dirla alla Paul Thorn di una tosta Weeds In My Roses.
E prima o poi entrano in azione e regalano quei cambi di ritmo connotati sempre da un caratteristico e corroborante humor al vetriolo, You Might Be Wrong con quel gioco alla lap steel incantevole, fino al blues irrequieto di I Don’t Like Half the People I Love ("I like it when they come / But I love it when they go") toccando l’apice nella brillante Buckskin Jones con la storia di un cowboy a cui piaceva far sempre festa ma dove ha trovato anche la morte. In chiusura anche se Nona Lisa sembra non molto controllata, un po’ tirata via, l’incantevole ballatona di That’s Life è una struggente preghiera che vive nelle fenditure nascoste della vita delle persone, metafora di bellezza e verità come Pimps and Preachers.