Rhythm&Blues, rock e soul anni ’70 -sesso e alcol compresi- malgrado sia la chiesa la fonte ispiratrice per il debutto di questo quintetto di Dallas capitanato dal vocal e chitarrista
Jonathan Tyler: “
A lot of people are skeptical and automatically stereotype church and gospel music, but I think there’s a lot of good things. Church music is supposed to come from your heart — being true to what you know. Earnest, authentic.” Registrato a Nashville in una sessione live ("
Letting the songs breathe and feel alive was the main thing that was really important to us")
Pardon Me è un disco accettabilmente accurato nella sua ricerca di amalgamare stili diversi, con belle canzoni, un buon ritmo e tante chitarre, ma dando l’impressione di ricercare troppo il guizzo particolare a favore di una inattesa finalità meditativa commerciale con ballate troppo, ma troppo scollacciate e sentimentali.
Un music revival che regge e sotto certi versi non si può che apprezzare quando dalla raggiante title-track, dalla chitarra di Brandon Pinckard si fanno avanti i sogni di rock’ n’ roll, liberi di spaziare,
Young and free canta Tyler, canzoni che possiedono quei requisiti di puro intrattenimento e di spensieratezza adolescenziale rafforzate da quella carta vincente rappresentata dai falsetti pop. Splendida
Young love, un suono e un sentimento classico fuori tempo massimo, nostalgico, e forse proprio per questo l’amore resta un terreno sempre vergine, sempre da esplorare.
Young Love lo custodisce gelosamente nella speranza che gli uomini continuino a viverlo.
Tra
Gypsy Woman e la meravigliosa
Devil’s Basement c’è tutta la carica del R&B, del rock sfrenato, dell’energia avvolgente di un’armonica incendiaria quindi non si capisce come
Pardon Me all’improvviso abbia le pile scariche: si inceppa, si blocca, va in crash (la melensa
Paint me a picture o l’imbarazzante
She Wears A Smile per non parlare di
Ladybird –cinguettio e coretto compreso- a dispensare lecca lecca in quantità industriale). Brani che non riescono ad intiepidire un finale affidato alla sferzante e ‘corvesca’ bellezza di
Hot sake e di
Where The Wind Blows ma riescono a nascondere in controluce il fantasma di un bel disco forse pensato troppo e realizzato solo in parte.