Disco d’esordio per la band di San Angelo, produzione dell’esperto Bart Rose (che suona anche la steel guitar),
Welcome to Our Good Times è un disco dalle due facce, nessuna forzatura o ridondanza quando si tratta di lasciar andare la telecaster, molto meno quando tocca esibire il sentimento, e lì francamente appare liquidabile come una mera strategia affabulatoria: i violini e il ruvido roots texano di
I Might Tonight si scontrano con il piano della ballatona di
Hello Baby e come
I'll Take the Lead e
My Turn to Play si rivelano stomachevolmente confettate, tanto che la melodia risulta talmente zavorrata che nemmeno dai tramonti di
Texas arriva qualche sprazzo di originalità, sostanzialmente anonima e mainstream come le altre (si salvano solo i violini di
Green Eyed Angel).
Così nonostante, i guizzi vibranti di brani sciatti, trasandati di provincia che cercano di descrivere con l’acustica bellezza della conclusiva
Bad Side o della splendida e vibrante
The River, alla slide malinconica di
I Don't Give A Damn che mostra più di un profilo, corturbante e affascinante allo stesso tempo, tanto da fumare nella vivace
Smokin Hot, alla fine
Welcome to Our Good Times non riesce mai a librarsi in volo. Resta qualche sorriso e una scrollata di spalle. Come giudizio non è un granché, ma è il massimo che riesce ad ispirare il disco dei
Crossing Tyler.