Dopo un giro con il suo pulmino sulla East Coast di almeno un paio d’anni,
Ross Neilsen torna ad incidere un disco, il terzo (
Where I’m From del 2005 e
Early Grave del 2009) con i
The Sufferin’ Bastards (Shawn Worden al basso e Karl Gans alla batteria) che trovano meritato spazio sulla copertina del disco: “
I am lucky to have such a powerful rhythm section and wanted to include their name with mine on the recording to make a statement that they are a huge part of what I do”.
Viene dalla vecchia scuola dei songwriters dalla bizzarria controllata, ma solo in quelle zone dove il blues non si ipotizza ma si consuma, si mangia sulle corde della chitarra,
Redemption è uno di quei dischi che spicca sui tanti prodotti blues per serietà e preparazione di fondo della materia (testi inclusi) grazie anche alla famiglia Dickinson. A dire il vero dopo la morte nell’agosto dello scorso anno di Jim Dickinson,
Ross Neilsen allo Zebra Ranch -nel Nord del Mississippi- avrebbe accusato il colpo, se non fosse entrata in appoggio il resto della famiglia Dickinson: da Luther alla slide, a Cody il batterista della North Mississippi All-Stars, ma anche produttore, ed ha permesso a
Redemption il naturale decorso alle vendite.
“
This record was an evolution for all of us in many ways. We have grown as a band and as individuals. As a result of this we wanted to make an effort to really step it up for our next release” aggiunge Ross e in effetti Redemption grazie ad una grammatica di non solo note, srotola una serie di solidi e vibranti blues-rock che atteriscono in modo imprendibile, per mancanza di coordinate, stordendoci con la potenza della slide che sguazza nelle acque torbide del delta del mississippi nella splendida apertura di
Afflicted e
Fire In The Ground, una collezione di pensieri vagabondi dove la centralità d’appoggio svaria tra diavoli, amore e morte, un micidiale inabissarsi in un aldilà che doppia l’immagine di
Ross Neilsen, scelta felice sia nello slow-rock di
Hot Little Pistol (solo finale da urlo) alla magia anni ’70 di quella perla di
Devil Knows, non certo banale, forse più originale – e non si fa solo per dire.
Redemption combatte contro la deriva come un diavolo, e l’assecondano magnificamente tenerezze e crudeltà, altro vortice di chitarre da
What You Can al gioiello swamp di
Possession, e di certo solo così si può trovare un ruolo, un posto nella società, anche se solo nel girone infernale. Donne che come una droga, appagano solo in apparenza e a cui bisogna trovare una soluzione, da
Commit A Crime ai 7 e passa corrosivi minuti di
She Ain’t You, Luther Dickinson continua a dare sfoggio della sua bravura alla slide e
Redemption vola e continua a volare nel finale fatto di
Badlands e granitiche
Human Mud, lasciando la poesia in fondo, nei 9 minuti della magnetica
Bold And Beaten, col racconto di vita on the road e dei sacrifici che i musicisti devono fare per il bene dello loro musica, ma anche dell’ascoltatore se il risultato è un disco come
Redemption!