GUTHRIE KENNARD (Matchbox)
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  Recensione del  01/08/2010
    

L’impronta di Ray Wylie Hubbard c’è anche sul terzo disco di Guthrie Kennard, suona e produce come nell’esordio di Ranch Road (Unmade Beds nel mezzo, fine 2009), con Matchbox il cantautore texano compone un altro viaggio molto personale in cui le storie di vita e il quotidiano non appaiono su due dimensioni alternative che distinguono la finzione dal reale, ma piuttosto un unico gioco di rimandi in cui i singoli brani permettono di focalizzare meglio ciò che accade intorno a noi.
Le emozioni delle ballate tra folk, blues e roots fanno scoprire nuovi significati a ciò che ci viene raccontato fin dalla disamina di una secca ballata elettrica come Cross That Line, densa e opaca, cupamente pessimista da cui si avverte da subito la lacerazione di uno sguardo che strazia la rete del quotidiano in pulviscoli impazziti e nervosi affidata alla telecaster, alla lap steel e all’armonica: quest’ultima davvero intrigante nell’ode a James Dean e alla Motorcycle o alla donna di una fangosa Monkey Wrench, tutte insieme a dir poco meravigliose quando si perdono sulla strada dove la mente costruisce fantasmi, alza barricate, My Mind Rolls Like A Wheel è una ballata che si rivolge all’ascoltatore disposto ad una complicità intellettuale lontana dalla banalità dell’ovvio.
Le liriche di Guthrie Kennard si rispecchiano nella complessità di un mondo caotico ma solo attraverso il rapporto diretto tra le persone e una umanità recuperata si può sfuggire, ritrovando il senso e il valore nel bluesy/roots alla Hubbard con perle torbide come God of Abraham, Katie Mae e Catfish Fishin', al rock di Bristol e Another Day, Another Dollar o nella celebrazione del giorno dei morti lungo le strade di Juarez, con la splendida Streets of Juarez. Piccolo grande disco, breve ma ben scritto, con bravi musicisti, belle canzoni, uno di quei lavori senza tanti grilli per la testa che ti entrano nel cuore.