James Dunning non è mai stato fedele alle etichette –country, americana, rock-, così mobili e sfuggenti, compromessi sempre un po’ paradossali fra il ritorno dell’identico e l’ingresso del nuovo, al terzo disco (dopo un succoso live) i
Lost Immigrants tra sbalzi politici e sociali in giro per il mondo, si tengono però stretti la classica scuola Texana: “
Pasaporte is a map of best case scenarios of expression that is seldom accomplished in album form anymore”.
Mettono le cose in chiaro invitandoci a cantare nell’apertura della piacevole
Song to Sing, il violino di Jason Andrew avrà anche la tristezza nel cuore ma la slide guitar è pervasa da un contagioso stato febbrile, capace di cogliere il guizzo del desiderio di essere ‘on the road’ dove lasciano andare i sogni, emozioni lungo le quali si muovono attraverso la vibrante
Rolling Stone, alla rodeo song di
Abilene, selvaggia e ruspante al punto giusto, tra donne perdute e karaoke bar. Country da dance floor scelto anche per descrivere e senza nessun tipo di predica, la cronaca di famiglie di militari in
Goodbye Seoul che fa coppia con
Rose of Tokyo, in uno spostamento verso un’uscita dal mondo, attraverso il viaggio di un paio di anni fa dei
Lost Immigrants attraverso il Giappone e l’Asia, a cantare per le truppe americane; entrano nella realtà e percorrono le strade di una vita che tocca poco i cittadini ‘normali’, dove è facile perdere il contatto con la struttura cellulare e organizzata della società. Bravo Dunning a stare nel mezzo di una linea molto sottile che divide la melodia radiofonica dalla credibilità dell’argomento. Brano splendido.
Non mancano canzoni roccate come per
AM radio,
Below dell’amico Slaid Cleaves e per
Genevieve, a seguire una giovane donna mentre se va a spasso attraverso i deserto del West Texas, luoghi desolati, polverosi da cui scappare, “
gotta get out of this town” cantano in
Leaving Laredo (
or The Night Gilberto Hit the Floor) verso il Messico della meravigliosa
Red Leather Dress, ancora donne e amore, come un duello a mezzogiorno: “
Stop what your doin’ ‘cause I must confess / I’m in love with a red leather dress” lavoro egregio di Dave Perez in prestito dai
Tejas Brothers, una ballatona struggente con le senoritas con vestiti rosso fuoco che danzano tra la fisa malinconica mentre la gelosia divampa, ed il piacere è tutto in quel ritorno ad una dimensione che noi ‘urbanizzati’ non conosciamo più, un viaggio tra carne e sangue. L’elettrica
Rolling on è la giusta chiusura di
Pasaporte, scritta dal chitarrista Sean Isbell che ha recentemente lasciato la band, ricordo di un viaggio intrapreso insieme ai
Lost Immigrants, di tanti anni passati sulle highways e delle aperture che queste sanno suscitare.