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Well, hello Stillwater. How are you? Good to be here.”
Jason Savory si presenta proprio dalla cittadina dell’Oklahoma dove è iniziata la sua carriera di musicista, sul palco della Tumbleweed Dance Hall, ed a
Live tocca far rivedere la sua storia, o meglio, di ripercorrerla. Facendo nostri la sua memoria, la sua identità delle origini country fino al mischiarsi con la musica Red Dirt, scelta non così difficile da gestire, e pare invero azzeccata l’idea di iniziare Live ripescando la radiosa
Don't You Think This Outlaw Bit's Done Got Out Of Hand, brano di
Waylon Jennings. Violini, tradizioni e un sano rock texano per descrivere 2 dischi: da
Game of life, la solida
Getting Over You, diverte e coinvolge, intriga ed emoziona quando tocca alla stessa title-track o quando fa sua la poetica di Chris Knight in
Becky's Bible.
Lascia respirare di più il country col verace tocco roots in
The Ring che si allarga nelle splendida
If I Were A Pirate tanto da cancellare ogni equivoco dall’ascolto di
Live, un disco costruito non per Jason Savory ma per i fans. Per l’esordio omonimo, passa per il Messico in quella perla di
My Mind's Down In Mexico, e il passato stenta fatalmente a passare quando si riascoltano insieme a
Let A Good Thing Ride e
Those Days Are Gone, brani che hanno subito una nuova correzione di rotta, una sterzata brusca a renderle ancor più intriganti e che riserva anche per la corrosiva
He Can't Quit Her dell’amico Gary Allan chiudendo con la brillante
One Horse Town ancora da Game of Life. L’aria del tempo scorre nei dischi di
Jason Savory come linfa vitale, energia allo stato puro, fonte di una nuova ispirazione, ideale per riprendere la strada da solo, lungo itinerari sconosciuti, a scrivere belle canzoni come ci ricorda
Live.