Nato a Londra ma dal cognome è intuibile l’origine italiana (da parte di padre), sin dalla giovane età di 15 anni immerso nel delta blues intenso ma anche fragile, capace di rifonderlo in figurazioni terse e armoniose come nella deliziosa
Will Not Play Your Game, brano di apertura del secondo disco (
Hard Times il precedente del 2008) di
Marcus Bonfanti.
Dimostra di essere un bravo e versatile chitarrista, voce forte e suadente che ci conduce nel profondo Sud dell’America ma sembra soffrire di solitudine in quei luoghi paludosi, la squillante
Goin' Down infatti dimostra di come sia necessaria la band per appagare le sue visioni e non solo per sfiancare le convenzioni sociali, blues cupo rimpolpato dai classici schemi di
Messin’ Round No More, con tonalità waitsiane anche nell’acustica leggerezza di
Devil Girl, la ragazzaccia politicamente poco corretta che cerca di riportare a casa ma dopo migliaia di chilometri, Coast to Coast, nell’altro intenso viaggio acustico di
Don't Wanna Come Home si scopre che la realtà può assumere strani contorni, tanto da riuscire a poco a poco a capire, a sentire, che non è poi tanto male perdere la strada di casa.
Una strumentale con una slide verace spezza repentinamente l’idillio,
Tweed Blazer da l’impressione che
Marcus Bonfanti esageri nel pavoneggiarsi con l’essenzialità delle sue chitarre, ma dato che si sente a proprio agio il nuovo (vecchio) stato da blueser selvaggio viene a galla in
Get Behind Me, nel piano febbricitante di
What Good Am I To You ad affiancare in un bel duetto, la lap steel, e il ritmo si fa contagioso nel finale: dall’armonica e voce di
God Only Knows allo splendido delta-blues di
Give Me Your Cash con due tocchi acustici da folksinger di razza a chiudere, due perle,
Bleecker Street e
Sweet Louise. Con
What Good Am I to You,
Marcus Bonfanti mantiene sotto stretto controllo chitarre e parole e il disco ne guadagna in qualità.