HANK III (Rebel Within)
Discografia border=Pelle

     

  

  Recensione del  03/07/2010


    

Ultimo disco per la Curb Records di Nashville, l’etichetta con cui ha diviso periodi assai turbolenti (il rifiuto di pubblicare This Ain’t Country ha fatto storia, album figlio del lato oscuro di Hank III con gli Assjack) ma a dire il vero nemmeno loro sapevano a cosa andavano incontro, era dopotutto il 2006, poi il capolavoro di Damn Right, Rebel Proud ha spazzato via ogni barriera, ogni veto sulla creatività del giovane Williams, abbandonando definitivamente sogni di riprendere a pubblicare dischi nello stile del nonno.
Alla soglia del 40esimo compleanno, Hank III continua ad avere un’idea ‘forte’ del country e un certo coraggio di sguardo per il modo -a dir poco sorprendente- di esplorare quello che lo circonda con un lirismo introspettivo su cui lascia scorrere i suoi fedeli demoni sottoponendoli al vaglio di una ragione implacabile, oramai di un adulto. Lo stile ricorda Straight to Hell, a cui si avvicina per l’approccio al country tradizionale e all’hillbilly, ma Rebel Within conserva una propria originalità che lo contraddistingue dai dischi precedenti: “Would it be a traditional record that bleeds country, or a final ‘fuck you’?” dice Hank, “In reality, it’s a bit of both…” Violini in prima fila per la scanzonata partenza di Gettin’ Drunk and Fallin’ Down nel suo classico stile alcolico, malinconico e fumoso: “I like to live life full throttle, but now it seems like I’m running out of steam” che si mischia con la torbida bellezza di Rebel Within, la title-track, mandolini e banjo con dietro le ombre degli Assjack e le piccole cose illogiche che danno l’impressione della vita quotidiana si frantumano tra i cori dei dannati, d’altronde la vita è estremamente varia proprio come la musica di Shelton Hank Williams III.
Little more of the hellbilly, psychobilly” definizione azzaccata per honky tonk ruspanti e deliziosi da Lookin’ For A Mountain, Drinkin’ Over Momma, Lost in Oklahoma e Moonshiner’s Life con una band sempre in palla, da Andy Gibson alla steel e dobro, il banjo di un trio come Tim Carter, Daniel Mason e Charlie Cushman, al violino di Billy Contreras e le chitarre di Johnny Hiland che fa un pregevole lavoro nella meravigliosa ballatona di Gone But Not Forgotten. Di disincanto, di sarcasmo non ce ne bisogno, basta la malinconia di Drinking Ain’t Hard to Do o di Karmageddon, complemento inevitabile di ogni eccessiva bellezza come nell’incantevole #5, scritta per un suo amico sprofondato agli inferi dall’eroina, ma ritrovando la forza per risalire:“…I dont know what I’m gonna do, but somethings gotta change. ‘Cause the heroin and downers are takin’ away my flame. I’ve done had four friends die around me, now I realize that ol’ number five just might be me.”
Un viaggio allucinante sulla stessa rotta di Straight to Hell che ancora deve concludersi, “I still got another 4 years before I come close to knocking that one (Straight to Hell) down” precisa Hank. Rebel Within nel finale ha lo spazio per sferrare un bel calcio negli stinchi con la brutale Tore Up and Loud con tanto di coda blasfema affidata all’urlo di Hank “Goddamn, hallelujah, praise the fuckin’ lord. After 14 years I’m finally mother fucking free. As Jeff Clayton from aint seen would say fuck… all… y’all!” Altro disco Enorme, come può esserlo un lento movimento di marea. Hank III, Unico!