David Kearney è ancora affamato di blues. Nato nel 1939 ad Houston, ma solo in Florida alla maggiore età, tra un’esibizione e l’altra, è nato il misterioso
Guitar Shorty (conosciuto dai modaioli forse solo per aver sposato una parente di Jimi Hendrix) 4 album nel corso degli anni ’90, 4 nel nuovo millennio. Cinquant’anni di carriera e non sentirli, a 4 anni (numero che gli porta bene) dal lodato e premiato
We The People, ancora una dose di blues sporco, di rottura e ribelle proprio come quello di un ragazzino, con lo stesso trasporto tra il tagliente e il riflessivo, usato amabilmente nella brusca
Please Mr. President, dedicata ad un Obama, per la sua capacità di tirare su, di saper ‘stimolare’ –e senza ironia, mi raccomando- trovando immediatamente guizzi creativi e non solo nelle corde della chitarra.
Per fortuna non isolati, perché la
Guitar Shorty senza fatica riesce a mettere in piedi un altro disco convincente, anche perché ritorna ad aggregarsi a quegli sconclusionati e bollettari bluesman anni ’70, non mette la testa a posto, in poche parole, e ne apprezziamo il risultato: infila spruzzatine funky tra bluesacci deliziosi,
The Sting,
Texas Women,
Get Off, spiattella verità in
True Lies,
Bad Memory,
Too Late e
Too Hard To Love You, d’altronde se mancano i soldi come si fa a renderle felici…
Quando affonda nel sociale, nelle tonalità grigie dell’economia quotidiana, trova ballate splendide come
Slow Burn, canzoni sulla necessità di contravvenire alle leggi e alle convenzioni, riaffermando i diritti della vita semplice. L’uso del piano rende ancor più malinconiche perle come
Neverland e
Betrayed, viaggi indietro nel tempo ma libere dall’inerzia di una qualsiasi botta di nostalgia, la felicità non c’era ieri e non c’è oggi. La coriacea cover di Dennis Jones,
Temporary Man, è la scelta azzeccata per chiudere
Bare Knuckle. Blues texano, una garanzia in più!