Nono disco solista per il chitarrista dell’Iowa
Craig Erickson, ancora tanto hard-blues che cresce come delle pulsioni larvate, capaci di scuotere anche
New Earth Blues: l’impianto formale -sin dalla title-track- è composto da ruvidi groove chitarristici con un retrogusto anni ’70 ‘teneramente ingenue’ e graziosamente furbe, spiattellandoli senza pietà e condendoli con la cruda realtà (splendida
World Keeps On Turning) come se
New Earth Blues avesse bisogno di quei sapori forti per rendersi ancor più appetibile. Così il blues chitarristico spalmato su tutto il disco prosegue per blocchi, per interferenze tra ballate meravigliose come
Be My Friend a quando decide di innervarsi in un viaggio psicadelico di speranza alla Hendrix in
Titanic Planet, in un mondo malato bisognoso di aiuto.
La tensione diventa pulsionale e ciò lo rende buio, avvolgente e sensuale specialmente con
Spaceship Lifeboat e nel ricordo della malinconica e accorata
Drownin' Down Here, la catastrofe devastante dell’uragano Katrina per altri 6 intensi minuti che non possono che anticipare la grintosa
Political World, sulle falsità ripetute, ridicole, tragiche, della politica ufficiale.
Al posto delle loro regole ci sono le chitarre, al posto delle loro 'cazzate' le note musicali di perle come
Lowdown Ways,
Crossroads of Love o la cover di Chris Whitley,
Indian Summer e poi le jam, non tanto della brevissima
Gypsy Jimi Jam, ma quella della conclusiva
Blue Horizon. Si crogiolerà pure nella malinconia di un blues di anni passati, ma
Craig Erickson con
New Earth Blues è sempre capace di ‘sputare’ in faccia alla contemporaneità.