Il chitarrista di
Shooter Jennings,
Leroy Powell (ma nel lungo passato c’è anche una collaborazione con
Waylon Jennings) è al primo disco insieme ai
The Messengers (ma altri da solista) resta fedele al passato perché più che al country fa geminare il rock, divenendo sfuggevole, inafferrabile, ‘fuori fuoco’ quando torna in voga lo spirito smaliziato degli anni ’70, un rock classico coinvolgente mischiato col gospel-R&B, un po’ stile
Corvi –tanto per intenderci. L’inizio è col botto con le arcigne
I Ain’t Human e
Tumblin’ Down, suono sì muscolare ma lasciando il giusto spazio tra le chitarre o all’armonica o al coro, non rompendo e ne togliendo nessi ai brani di
Atlantis, piuttosto li consolidano con liriche che hanno lo stesso peso.
Ecco allora delle piccole gemme come
Telluride a mettere in luce la sostanziale ‘crudeltà’ della piccola gente che ci circonda e di come bisogna aggrapparsi ad un ‘desiderio’ e all’amore, cuore di molte ballate rock condite da sapori revival (
One Kiss,
One Love sembra uscita da un vecchio jukebox), l’elettrica
Break It Easy col feeling country usato specialmente nell’intro delle ballate, dalla slide e i cowboy di
Family Tree, lap steel e pianoforte in
It's Our Turn Now e nel paesaggio western dei psicadelici sette minuti di una
Evil bissata con la corrosiva
Gravedigger's Blues, ambedue splendide quando i
The Messenger decidono di muoversi come spettri.
Così si scopre che dopotutto il rock scorre nelle vene di
Leroy Powell, e si riprende da uno stile ‘sporco’ nel gospel-chitarristico in
You Can Count On Me e
The House Is Rockin’, macchiato di blues in
Look Out World (I’m Comin’) con un finale meditativo -ma con stacchi improvvisi- in
When The Morning Comes alla dichiarazione di
Song For You.
Atlantis è un disco nudo e crudo ma pieno di ricordi e
Leroy Powell è stato attento a coglierne le atmosfere, andandosele a cercare in un passato che ritorna solo quando la musica suona giusta, perché stai facendo la cosa giusta. Gran bel disco!