T-Bone Burnett resta una garanzia per
Jakob Dylan, basta ricordare il successo di
Bringing Down the Horse, ma dopo cinque dischi di rock con i
Wallflowers ecco l’avventura solista acustica di
Seeing Things nel 2008 e quest’ultimo
Women and Country, a sincerare che il suo approccio alla melodia ha semplicemente mutato prospettiva, di regolare adesso c’è solo un ideale romantico e il suo esatto contrario come annuncia nella splendida
Nothing but the whole wide world, una ballata elegante e seducente, come l’intero disco a dire il vero. Brani come
Down On Our Shield,
Truth for truth o l’incantevole
Holy Rollers For Love, dove Jakob duetta con Neko Case con l’aggiunta di Kelly Hogan, e ambedue rispettano gli spazi di un sentimentalismo senza ammiccamenti, lasciando uno stato emozionale che germina e cresce piano piano ("
Neko's a huge character," dice Dylan. "She and Kelly add a huge personality to the record").
Ma il tono lieve volutamente cercato viene colorito anche con sonorità jazzate e waitsiane,
Standing Eight Count ma soprattutto quella perla di
Lend a hand, tra una tromba malinconica e la chitarra di Marc Ribot, e fa piacere che un songwriter come
Jakob Dylan sappia regolare il proprio respiro tra toni minori e sospensioni poetiche notturne dove ama stazionare anche in compagnia di mandolino e violino nella sognante
We Don't Live Here Anymore e in
Everybody's Hurting, dove mette in scena il dolore di un’economia spietata che scuote la tranquilla vita agreste di periferia dove non resta che attaccarsi alla speranza, un folk-country buio ma baciato dalla luce del violino.
I tempi duri per fortuna anticipano quelli buoni,
Yonder Come The Blues, e relega al country del pimpante banjo/mandolino di
They've Trapped Us Boys e la struggente slide di
Smile when you call me il compito di tenerlo lontano dalle produzioni main-stream capaci di dispensare ad un pubblico medio un suono mediocre.
Jakob Dylan ha scommesso negli ultimi anni su una musica che concilia le emozioni con la gradevolezza. Scelta riuscita.