Il caos irrompe a Los Angeles e dalla porta principale entra un impressionante vortice infuocato di suoni da un virtuoso della chitarra di nome
Dave Osti, un ragazzaccio con la jam nel sangue che se disegna fiamme sulla copertina di
Voodoo Guitar con una certa enfasi poi apre a manetta il rubinetto dell’hard-blues. Suono muscolare, dieci brani che riempiono un’ora incandescente che inizia con la torbida
Play What the Man can't Say e il trio (il resto, il batterista Moyes Lucas e il bassista Dave Batti) della
Dirty Dave Osti usa poche parole,
Voodoo Guitar è come un bignami di riflessioni su relazioni non proprio idilliache, ragazze svampite e di alcohol, perfette per la voce profonda di Osti con le jam a riempire lo spazio mancante.
Da
Lit Again in poi ciò che affascina è il tempo che Osti si ricuce per jammare e per l’indeterminatezza delle sue coordinate quantomai suggestive negli splendidi sei minuti di una pungente
Lips of a Liar con un siparietto centrale da incorniciare, ma dopotutto anche la cattiva
Wildside non scherza, a professare che non serve poi tanto la voce, bastano energia e passione.
Delusion as Usual è un altro hard-blues elettrificato secondo uno schema che può apparire ripetitivo (specialmente in
Flatline e
Rusty Rose), ma la struttura di
Voodoo Guitar non è di quelle di dischi confezionati come semplice intrattenimento, c’è dolore, compassione (selettiva) riff e rabbia quando si tratta di parlare di politica con la tagliente bellezza di
Water to Wine o nel marmoreo splendore del refrain di
Light on Right on.
Voodo Guitar –la title track- non poteva che essere torbida tanto che alla fine della
Dirty Dave Osti resta non solo il ricordo sporcato da un solido hard-blues, ma il buono e il cattivo insieme.