NICK MOSS (Privileged)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  01/06/2010
    

Dieci anni di onesta carriera, otto dischi e molti live sempre in compagnia dei The Flip Tops, anche se sulla copertina di quest’ultimo disco non compaiono al fianco di un Nick Moss pungente più del solito in quest’ultimo Privileged.
Se non sorprende il solito tatto verso quello che più non lo convince della politica, parole usate come mannaie, il Chicago Blues acustico del passato subisce dei bei sussulti come traspare dal ruvido inizio di Born Leader :“So what's an artist to do? What's a man to do?” (non credo che centrino nulla gli accostamenti ad Obama, alle regole che alla Casa Bianca comunque bisogna rispettare), Nick Moss sembra davvero in palla anche per la scelta delle cover, vecchie incisioni ripescate per un omaggio alle tradizioni, For What It’s Worth è un’immersione nel funk ipnotico degli anni ’70, Louise è una vera goduria, di Howlin’ Wolf un blues trascicato e nervoso, altri sei minuti illuminati dalla sua chitarra che diventano bagliori accecanti nella splendida Georgia Redsnake dove si immerge tra lo swamp e il delta blues con il mandolino di Gerry Hundt a donare una leggera patina roots.
Sagace e ironico, ha molto da dire e lo si accorge da quelle sottili domande che continua a porsi anche nella deliziosa ‘dolcezza’ di Privileged At Birth (“How can you sleep, is your time well-spent here on Earth?”) altri sette minuti fumosi, tra l’essere buono e il sentirsi buono la bussola dei sentimenti si orienta tra queste umane debolezze, in una società che fa decisamente schifo anche nell’amore le cose traballano, da Your Love's A Lie (gran solo centrale) ad She's So Fine (Born Blind).
Ancora politica quando l’occhio ritorna a cadere sugli eventi recenti, Tear 'Em Down, è più filosofica e meditativa, innocente nel furore evangelico di otto intensi minuti, cupissime le certezza invece dei Cream in Politician e nella brillante Why Should I Care, dove si chiede “I never had nothin’, why should I even care?” sempre addosso ai governi che pensano solo ai propri interessi e non ai poveri e alla working class. Con la strumentale di Balognious Funk, Nick Moss chiude un disco intrigante ed energico, per un’evoluzione che sembra aver ringiovanito anche il suo Blues.