JASON & THE SCORCHERS (Halycon Times )
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  Recensione del  01/05/2010


    

L’abilità di Jason Ringenberg nel bel mezzo degli anni ’80 era stata principalmente quella di essere riuscito a dosare il country con il rock e sudore degli Scorchers, tanto che quando si sono divisi, l’avventura solista di Jason si era quasi cloroformizzata nella fattoria che aveva scelto per scrivere canzoni per bambini. Ad ascoltare quest’ultimo Halycon Times sembra davvero ringiovanito tanto da essere riuscito a recuperare gli ultimi quattordici anni in queste quattordici canzoni, coprendo questo lasso temporale dove lo avevamo lasciato in quel 1996 in uno studio di registrazione.
Non poteva non suscitare parecchia curiosità, Jason Ringenberg e Warner E. Hodges che ritornano a far tuonare le chitarre e a scrivere ottima musica insieme, anche se con due new-entry, il bassista Al Collins e il batterista Pontus Snibb. Ripescano i sogni di un’america immersa negli incubi del quotidiano, graffiandola con una miscela di indiavolate slide e del verace rock n’ roll dal sapore agreste, infatti l’inizio è rovente con Moonshine Guys/Releasing Only Celtic Prisoners, frenesia accompagnata da urletti e allegria (“…Loves the Stones, hates the Doors / Thinks the Beatles sing for girls / He’s a moonshine guy in a six-pack world”).
Il mandolino apre spazi nella sanguigna e splendida Beat On The Mountain, alle trascinanti Mona Lee e Gettin' Nowhere Fast, tanto rozze, tanto efficaci, in un continuo avvicendamento di zone chiare -più country-, e scurissime schitarrate, spazi edenici condite dallo humor in Fear Not Gear Rot alle viscere perigliose e opprimenti dell’immigrazione di passate generazioni, partendo dal lontano Galles nel 1910 nella storia di Mother of Greed fino all’intensa Land of the Free, alla guerra del Vietrnam, alla musica che risuona libera alla stessa maniera di quel periodo di ribellione pre-Settantotto, una di quelle canzoni ideali per far sci d’acqua nel bel mezzo di un fiume vietnamita.
Chitarre, tante chitarre anche nel finale, quelle di Warner E. Hodges nel suo testamento autobiografico fatto di donne e musica nella solare Golden Days, scatenati in Better Than This e in We've Got It Goin' On, nella meravigliosa tempra di Deep Holy Water, in Twang Town Blues che ha un sapore ‘cashiano’ all’apparizione di un Dan Baird sempre molto inspirato: prima, voce nella festa rootsy di When Did It Get So Easy (To Lie to Me) poi, quando prende la penna per scrivere la splendida Days of Wine and Roses: “Last night I dreamed I was young again…/ Time can steal most anything/ he’s the master thief / He can steal my body, steal my mind/ But he can’t shake my belief”. La ciliegina sulla torta di Halycon Times, il gran ritorno di Jason Ringenberg & The Scorchers.