Ancora Joe Hardy al settimo disco per
Mike McClure e Band (Matt Skinner al basso e Eric Hansen alla batteria) con
Zero Dark 30 le viuzze del sound red dirt diventano più turtuose del solito, non c’è mai nulla di scontato nei suoi dischi ma stavolta la confezione mostra innegabili carenze, rischia di slabbrarsi in una ricerca di un suono troppo costruito e radiofonico, ma quello che gli va riconosciuto, però, è una certa ricchezze di idee, sia pur gettate alla rinfusa dove ogni tanto sbuca il suo senso della melodia e il brano acquista una luce diversa, la ballata elettrica ed intrigante di
Don't Fight It brilla nella notte.
Infarcita per
Mother May I,
Daughter of the Devil o
Down Like a Drop con troppi suoni -rock, blues, pop e tastiere, fino alla particolare cupezza di
Wolves tra corrosive chitarre inframmezzate da sviolinate orchestrali, e francamente il risultato è esageratamente agitato e al contempo assolutamente immobile e ripetitivo.
Zero Dark 30 scuote abbastanza e si avverte in più di un brano (
Made to Fade,
In My Ears che è una nuova versione granitica ripresa dal suo album solista del 2002 Twelve Pieces), il disco non è affetto da un ‘cadaverico’ rigor mortis solo perché
Mike McClure è uno che sa scrivere belle canzoni, il meglio lo da con le ballate (gli riescono sempre bene)
A Breakdown, la conclusiva
Down the Road I Go e
Colors Fade to Grey sono deliziose, e qualche trovata come la sezione fiati in
Swinging non mi dispiace affatto tanto da pensare: ma
Zero Dark 30 è una vacanza, un passo falso o un altro tassello del lavoro di un gran songwriter di nome
Mike McClure?