JOHN HIATT (The Open Road)
Discografia border=Pelle

        

  Recensione del  01/05/2010
    

Registrato nel suo garage-studio con l’attuale band che lo segue on stage (il chitarrista Doug Lancio, il bassista Patrick O' Hearn e il batterista Kenneth Blevins) il 18esimo disco del 57enne John Hiatt è una mitizzazione della ‘highway’, a ridosso di fratture, di sbilanciamenti, di vertigini contenute nelle disperate road songs di The Open Road, consapevole di vivere quella sensazione di alienazione in un immaginario della strada accresciuto tra i ricordi dei Nativi Americani di Homeland: “I call this place my homeland and I claim this land I own / It belongs to another people, they possess it in their bones” incamminandosi verso il Sud, da Memphis intravedendo il Tennessee.
Non c’è molto humor in questo nuovo disco, perfette per ballate introspettive ma anche per il rock-blues scelto per descrivere se stesso e la sua famiglia anche attraverso il contributo delle due figlie, Lilly e Georgia, che lo hanno ispirato nella stesura dei brani di The Open Road. La vita sulla strada riflette il senso di spazi aperti ispirati dalla title-track, fuga verso “where the hopeless come”, lasciando spazio alla parola in What Kind of Man prima di dirigersi verso la propria donna, nel bluesaccio ‘attraente’ di My Baby: “Sun comes up and I’m crossin’/Kentucky state line, gonna see my girl”, mantenendone il fascino oscuro, a volte macabro: “I cut him and I coasted through Conway/Put him by the side of the road” di certo non funereo nel ritmo di Haulin’.
Ma dopotutto sono strade dove non ci si perde, ci si scorrazza liberamente, cuori sempre affamati e ciechi come nella meravigliosa ballata elettrica di Wonder of Love, vagabondare combattendone il perenne contrasto di sentimenti, dalla rassegnazione alla spavalderia della splendida Go Down Swingin’: “Well, I lost myself and found myself / While you were kissing ass / And I know it’s not your nature / Just to let me pass / I’m gonna go down swingin’ / Singin’ until the end.” L’occhio si apre e si chiude nella notte nera (citando il Pascoli) ma intanto vede, guarda in un’altra perla bluesy come Like a Freight Train dove i riff cercano il brivido e lo provocano.
Il filo dell’inquietudine non s’allenta come il fascino di The Open Road, e la ricerca del corpo riprende nel finale con un paio di ballate intense, struggenti, da Movin' On a Fireball Roberts a Carry You Back Home, finendo per lasciarci addosso un’impressione di amore assoluto, tra le macerie e la desolazione, dove emerge il lato nobile dell’essere umano. Quello che contraddistingue da un ventennio John Hiatt.