Graham Parker e la televisione, nessun particolare legame ad ascoltare
Imaginary Television, niente da riallacciarsi al suo ruolo –e dunque alle responsabilità- che essa ha nel modellare, nel determinare, spesso nel distorcere la vita sia degli individui che la fanno, sia dei cittadini che la consumano come spettatori, ma questo concept album prende spunto da una richiesta -non so fino a quanto seria- sul titolo di una sitcom ma che alla fine è servita per costruire un ritratto personale dell’artista –forse come non ha mai osato fare in passato- e dell’uomo che si volta a guardare la propria vita riesaminandola dal punto di vista artistico, ma anche umano, basta ascoltare
Broken Skin per farsene un’idea.
L’immaginario televisivo serve allora a spiattellare le difficoltà di comunicazione di oggi, quel non essere tanto al passo coi tempi e ci si sente frastornati, agitati dalle continue sollecitazioni e richieste alle quali siamo sottoposti,
Weather Report alla piacevole ballata di
Snowgun, rappresentano anche l’isolamento da una vita che va avanti senza che ci si occupi di ciò che sta succedendo nel mondo di fuori. Parker che suona chitarra acustica e lap steel, banjo ma anche il kazoo, nell’impasto ci infila anche sentimenti e romanticismo andato a male da
Always Greener, ad
It's My Party (But I Won't Cry) fino
Bring Me A Heart Again e molte di loro sono godibilissime ma si ha sempre più l’impressione che a volte il tutto sfugga di mano, dall’argomento alla metafora, rendendo proprio l’immaginario un po’ banale.
Ma anche se non è perfetto
Imaginary Television con le sue tante domande, da
See Things My Way alla splendida
You're Not Where You Think You Are, dalla divertente
Head on Straight chiudendo con il reggae della cover di Johnny Nash,
More Questions Than Answers e i coretti di
1st Responder, l’impressione che lascia alla fine è quella di un umile artigiano delle note sempre innamorato delle storie che racconta, ed è forse anche questo un modo di resistere per
Graham Parker.